Recensione. Nettare in un setaccio

Devi piegarti come l’erba se non vuoi romperti

Sinossi ufficiale

Nèttare in un setaccio è ormai un classico. Per molti aspetti è il romanzo che ha aperto la strada alla narrativa indiana contemporanea e che ha fatto sentire l’India come un mondo in movimento, segnato da profonde vitali contraddizioni. La storia di Rukumani, una contadina nata da famiglia nobile che va in sposa a Nathan, “povero di tutto fuorché di amore”, è un’avventura morale e sentimentale, politica e poetica, che si snoda dentro l’identità di un popolo. La semplice vita di Rukumani e Nathan procede serena finché nel loro villaggio una conceria mette in moto l’inevitabile processo di trasformazione del paese e della gente. Al terremoto sociale dello sviluppo economico si aggiungono terribili calamità naturali che portano fame e degrado, e Rukumani, presa ormai la via della grande città, affronta una nuova odissea, in un mondo frenetico e incomprensibile. Indimenticabile figura di donna, Rukumani, sperduta, sola, combatte dignitosamente con saggezza, civiltà, fiducia. Un ritratto fortemente lirico ed evocativo che ha appassionato i lettori di tutto il mondo.

Recensione

Il libro di Kerala Markandaya e’ di una poeticità immensa. Narra in prima persona la storia della protagonista, una ragazza che proviene da una famiglia benestante che sposa un contadino, “povero di tutto fuorché di amore”, come dice la scrittrice. Questo matrimonio sarà benedetto da un amore straordinario e dalla nascita di vari figli. Attraverso le pagine del testo conosciamo la storia di Rukumani, la protagonista e della sua famiglia, una storia fatta di stenti, di sacrifici e di grande dolore, ambientata in un’India del secolo scorso dove la povertà e’ all’ordine del giorno, dove si preferisce accettare tutto quello che capita anziché protestare o lottare per avere una vita migliore.

Già fin dalle prime pagine si capisce come siamo catapultati in un mondo estremamente lontano del nostro, la storia è ambientata in un’epoca non ben precisata ma che sicuramente con gli inizi del secolo scorso o tutt’al più con la metà del secolo, in un’India arretrata in cui il capo del villaggio non ha più l’importanza che aveva prima e una donna può fare un buon matrimonio e aspirare a sposare un buon partito solo se ha una certa dote. Rukumani è l’ultima di quattro figli e quindi non può aspirare ad un matrimonio grandioso, perciò viene data in sposa ad un contadino povero dal punto di vista economico, ma ricco di amore e che si prende cura di lei. Ricordando tutto questo quando ormai è vecchia e sicuramente più saggia, si accorge che questa è stata la sua fortuna, cioè quella di aver sposato un uomo che l’ha amata e protetta.

È un mondo in cui ci si dispiace per il fatto che la primogenita sia una femmina, perché nella cultura indiana dell’epoca una femmina è solo una disgrazia che se ne andrà portando via la dote, perciò si preferisci un maschio che continui la tradizione di famiglia, che lavori nei campi insieme ai genitori.

Uno dei temi fondamentali del libro è quello dell’adattamento alle novità, della difficoltà ad accettare il cambiamento. Infatti la costruzione di una conceria stravolge la vita del piccolo villaggio di Rukumani, porta chiasso, rumori che coprono il cinguettio degli uccelli, fa aumentare i prezzi dei prodotti nelle botteghe e soprattutto porta via alla protagonista i due figli maschi, che decidono di lavorare nella conceria anziché continuare a lavorare una terra che non è la loro e dalla quale non ricevono abbastanza raccolto per sfamare tutti i componenti della famiglia.

Un’altra tematica fondamentale di questo libro è la rassegnazione: Rukumani è rassegnata a vedere andar via uno dopo l’altro per vari motivi diversi suoi figli, è rassegnata ad accettare la presenza della conceria nel suo villaggio che trasformerà profondamente il paese la gente, è rassegnato anche il marito a non avere vicino nessuno dei suoi figli nella condivisione del lavoro della sua terra, è rassegnato l’intero popolo indiano che accetta i soprusi e le ingiustizie senza mai ribellarsi e senza battersi per difendere i propri diritti.

Lo stile è delicato e sognante, la prosa lenta e scorrevole, i termini sono ricercati con molta cura e hanno l’effetto magico di portarci nella mente della protagonista, di farci vedere attraverso i suoi occhi le cose semplici della sua vita, piccoli eventi ma non per questo meno straordinari, come l’orgoglio per aver imparato a coltivare gli ortaggi o la gratitudine nei confronti del marito che l’ha sempre sostenuta e lodata in ogni sua azione.

Un libro meravigliosamente dolce e dolente allo stesso tempo, una lettura da fare assolutamente.

Estratti

Speranza e paura. Forze gemelle che ci spingevano da una parte e dall’altra, e nessuno avrebbe potuto dire quale sarebbe stata la più forte. Dei nostri timori non parlavamo mai, ma erano sempre con noi. La paura, compagna inseparabile del contadino. La fame, sempre pronta a tirarlo giù per il gomito, appena si abbandona. La disperazione, sempre pronta a sommergerlo, se vacilla. La paura: paura dell’avvenire oscuro; paura del morso acuto della fame; paura dell’oscurità della morte.

Bene, pensavo dentro di me, e se ad ogni passo cedessimo alle nostre sventure, che succederebbe? Saremmo ben misere creature, così deboli. Che forse l’uomo non ha avuto un’anima per sollevarsi al di sopra delle disgrazie? Quanto alle nostre miserie, esse sono tante e insanabili, perché chi sarebbe tanto ricco e tanto pietoso da poterle sanare? La miseria è la nostra compagna, dalla nascita alla morte, familiare come le stagioni, come la terra, diversa solo per intensità. A che vale rammaricarsi di ciò che è sempre stato e che non può mutare?

Nei sobborghi, non in città – dove tutto ciò che era naturale era stato da lungo tempo soffocato-si poteva ancora notare il passare delle stagioni. In città c’era sempre folla, e strade abbarbicate alla terra, e la sporcizia che la gente lasciava cadere; e bisognava camminare circospetti, badando dove mettere i piedi, attenti ai pericoli che incalzavano da ogni parte; tutte queste preoccupazioni impediscono di guardare il sole o le stelle o di osservare se essi hanno cambiato posizione in cielo: e così la gente non si accorge del passare del tempo, tranne che per una secca, frenetica occhiata all’orologio. Ma a noi che abitavamo nei campi verdi e tranquilli, per quanto fossero pericolosamente vicini alla città, la natura dava ancora il suo silenzioso messaggio. Ogni giorno che passava, ogni settimana, ogni mese, lasciava il suo segno chiaro e inconfondibile.

L’autrice

Kamala Markandaya, nata da una famiglia bramina in una città dell’India meridionale, nel 1924, ha compiuto gli studi all’Università di Madras. Fin dalla prima giovinezza ha collaborato a giornali e riviste, ha viaggiato in India e in Europa e si è poi trasferita a Londra nel 1948. Feltrinelli ha pubblicato Nèttare in un setaccio (1956) e Furia e amore (1957).

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