Novità Sellerio in libreria


Dopo Vecchie conoscenze e Le ossa parlano, il vicequestore Rocco Schiavone è in missione non ufficiale a migliaia di chilometri dalla sua odiata Aosta, con il vecchio amico Brizio. Vogliono ritrovare Furio, l’altro compagno di una vita, scomparso tra Buenos Aires, Messico e Costa Rica. Furio, da parte sua, si è lanciato a rotta di collo sulle tracce di Sebastiano, il quarto del gruppo, scappato in Sud America per sfuggire ad una colpa tremenda e alla conseguente punizione. L’antefatto è lontano nel tempo e ha squassato le vite di tutti loro. E adesso Rocco e Brizio devono impedire «la pazzia» di Furio, ma vogliono anche capire i perché di Seba, quali sono stati i motivi profondi di quel tradimento orribile con cui Rocco ha già provato a fare i conti, in modo da poter dare l’addio come si deve a un’amicizia vecchia quanto loro. La ricerca appare vana, perché il continente è immenso e chi scappa lascia solo labili indizi, sospeso in realtà tra scomparire e voglia di spiegarsi o di espiare. Il vicequestore, da fine investigatore, sa bene come armare una caccia spericolata, e Brizio è abbastanza svelto di mano da spalleggiarlo adeguatamente.
In questo miscuglio di thriller e psicologia, è inevitabile che nella mente di Rocco si affollino i tanti ricordi di un’infanzia con la banda a Trastevere, quel piccolo mondo dove solo un fortunato caso ha deciso che Schiavone sia diventato un poliziotto e non un «bandito», una guardia e non un ladro, al pari dei suoi inseparabili compari, uniti in un’amicizia che non c’è più, distrutta dal tempo, dal destino o forse solo da appetiti personali. Ritrovare Sebastiano misteriosamente scomparso in Sud America sarà forse possibile. Impossibile ritrovare l’amico. Antonio Manzini torna a raccontare i fantasmi del suo vicequestore, ma questa volta lo fa per chiudere un cerchio, uno dei più dolorosi della sua vita.

«Cambiando la dimensione percepita di ciò che è il mondo presente, deve cambiare anche, se lo si vuol conoscere, la percezione del suo passato».
Gli europei e il mondo ripercorre i grandi eventi che portarono al nascere e all’affermarsi del dominio occidentale sul mondo: l’ordine economico e geopolitico creato dagli europei che oggi viene rimesso in discussione da protagonisti che possono apparire nuovi mentre sono in realtà da sempre gli attori del teatro globale.
L’analisi inizia intorno alla metà del XIV secolo: una serie di avvenimenti – il più suggestivo dei quali, le scorribande di Tamerlano tra Asia ed Europa – mette fine «all’Eurasia di Marco Polo», si spezza la continuità dalla Spagna alla Cina mediata dall’Islam, grazie alla quale la periferica Europa era entrata nei grandi circuiti mondiali di commercio e di civiltà. Il capitolo finale ricostruisce gli scenari delle guerre dell’oppio di primo Ottocento: attraverso l’imposizione violenta, che soggioga la Cina a colonia di fatto, si completa il disegno europeo di «attaccare il sistema produttivo dei grandi paesi asiatici e di metterne gli enormi mercati al servizio del proprio sviluppo». Sono quindi i cinque secoli dell’assalto dell’Europa al mondo. Secoli che la storiografia tradizionale di stampo eurocentrico dipinge come il processo continuo e necessario con cui l’Occidente attraeva nel campo della civiltà aree sottosviluppate, cioè permetteva «al mondo di entrare nella storia». Questo modello eurocentrico implica enormi oscuramenti e illusioni ottiche sulla realtà storica. Per esempio non ci ha fatto mai «sospettare che l’Islam sia stato sul punto di conquistare il mondo, che Cina e India siano state, fino agli inizi del secolo XVIII, i paesi più ricchi». Ma soprattutto disorienta nella comprensione del presente perché «non ci dice nulla delle grandi civiltà del nostro mondo», le stesse risorgenti antiche civiltà che stanno oggi plasmando la nuova epoca.
La prospettiva che invece questo libro abbraccia è quella della globalità e della connessione. In essa il tempo storico si snoda quale pluralità di civiltà, ciascuna compiuta in sé funzionalmente, e al contempo collegata sistematicamente alle altre. Questo concretamente significa che metà dei capitoli è dedicata ai paesi extraeuropei, in una alternanza che fa vedere come realtà di primo piano secondo il vecchio eurocentrismo decadano, mentre altri fatti, di solito trascurati, risaltino pieni di conseguenze. E grazie all’impostazione che non teme il disegno globale, emergono le grandi domande della storia: perché – ad esempio – non è stata la Cina, così a lungo prevalente, ad invadere l’Occidente? Qual è stato il ruolo dell’Islam di mediatore e diffusore di civiltà? Rivoluzione industriale occidentale o diffuse rivoluzioni industriose?
Grande storia di sintesi, Gli europei e il mondo mette di fronte al lettore «i frutti di un lavoro storiografico internazionale che trova difficoltà ad entrare nella nostra storiografia», affinché non restino relegati agli specialisti. Quando, al contrario, formano un sapere prezioso per capire dove stiamo andando, «riemergendo nelle vicende dei nostri giorni nodi dei secoli passati: Taiwan, Afghanistan, via della seta, Africa, sunniti, sciiti, Balcani, Crimea, Ucraina, Mar Nero, Polonia, Stati baltici».

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