
Sinossi ufficiale
Ci sono cose che non si raccontano perché le parole sono scogli nel mare. Ci sono cose che non si raccontano per vergogna, rabbia, troppo dolore, e perché se non le racconti, in fondo puoi sempre credere che non siano successe. Antonella e Andrea vogliono un figlio: adesso lo vogliono proprio, lo vogliono assolutamente. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale del mondo: tutto ciò che può andare storto andrà storto, anche l’inimmaginabile. Antonella Lattanzi ha trovato parole esatte per questa storia, che è sua e di tutte le donne – ambiziose, indecise, testarde, libere di scegliere. Un libro emozionante, che non si riesce a smettere di leggere, straordinariamente contemporaneo. «Questo libro mi ha toccato nel profondo. La letteratura è un’arte magica, e Antonella Lattanzi ha scritto un romanzo che è una benedizione, una maledizione, una catarsi» (Nicola Lagioia). Non è mai il momento giusto per fare un figlio. Prima vogliamo vivere, viaggiare, lavorare. Antonella vuole diventare una scrittrice: la sua è un’ambizione assoluta, senza scampo. Per questo a vent’anni, per due volte, interrompe volontariamente la gravidanza. Quando anni dopo si sente invece pronta, con un compagno a fianco, è il suo fisico a non esserlo. E così inizia l’iter brutale dell’ostinazione, dell’ossessione, della medicalizzazione. Certi supplizi, le aspirazioni inconfessate, la felicità effimera e spavalda, la sofferenza e la collera. Si direbbe una storia già scritta, ma qui non c’è nulla di consueto: è come raccontare da dentro una valanga, con la capacità incredibile, rotolando, di guardarsi e non crederci, e sfidarsi, condannarsi, sorridersi per farsi coraggio. In un crescendo di indicibile potenza narrativa, Antonella Lattanzi descrive (sulla sua pelle) la forza inesorabile di un desiderio che non si ferma davanti a niente, ma anche i sensi di colpa, l’insensibilità di alcuni medici, l’amicizia che sa sostenere i silenzi e le confidenze più atroci, il rapporto di coppia sempre sul punto di andare in frantumi, la rabbia ferocissima verso il mondo (e le donne incinte). Tenendo il lettore stretto accanto a sé, incollato alla pagina, con un uso magistrale del montaggio, capace di creare una suspense da thriller. La cosa strabiliante è che pur raccontando una storia eccezionale, e cruda, questo romanzo riesce in realtà a parlare in modo vero, e profondamente attuale, di tutte le donne – madri e non madri – che in un punto diverso della loro vita si sono chieste: desidero un figlio? qual è il momento giusto? dovrò rinunciare a me stessa, alle mie ambizioni? e perché tutte restano incinte e io no? «Ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono».
Recensione
Cominci a leggere l’ultimo libro di Antonella Lattanzi e provi un profondo dolore già dalle prime righe, perché capisci che non sarà una storia facile quella che hai davanti, ma un racconto che ti trascina con sé nel dolore più atroce e profondo che una donna possa provare: il dolore legato al desiderio di essere madre e di non riuscire a realizzarlo.
La scrittrice con un grandissimo sforzo e rinnovando pagina dopo pagina la sofferenza già provata, non esita a mettere a nudo la propria anima per darci il resoconto del calvario che ha vissuto tra tentativi di fecondazione assistita, punture di ormoni, test di gravidanza fatti uno dopo l’altro Alla ricerca di quelle due linee rosa che ti possono cambiare la vita.
Tutte le donne desiderano essere madri o come nel caso della Lattanzi ci sono momenti nella vita in cui non sono pronti a diventarlo, mentre in altri lo desiderano disperatamente. La protagonista è perseguitata da un grandissimo senso di colpa, perché da giovane ha abortito due volte perché non era il momento giusto per diventare madre e poi in seguito, Quando avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa al mondo avere un figlio, il destino lì si è accanito contro.
Una delle immagini più ricorrenti nel testo, che appare insistente e ripetuto fin dalle prime righe, e quella del sangue, il sangue che dà la vita ma che nel caso della storia che stiamo leggendo il segno che la vita non è stata creata.
È straziante immergersi nella lettura di queste pagine, perché ci costringe a fare i conti con un dolore che magari non abbiamo provato in prima persona ma che comprendiamo molto bene: chi è madre forse non può capire fino in fondo il dolore di chi non riesce ad avere un figlio, ma sicuramente lo comprende meglio di un uomo, che vive la mancata paternità in modo meno viscerale rispetto ad una donna.
Ho letto il libro tutto d’un fiato e ho pianto insieme alla protagonista, ho esultato per le ecografie che hanno fatto vedere le sue tre figlie, ti hanno fatto sentire i battiti dei loro tre cuoricini, come la protagonista mi sono chiesta per quale perverso disegno divino le capitassero così tante disgrazie e alla fine lei è riuscita ad addossarmi il suo senso di colpa: se non riusciva ad essere madre era perché se lo era meritato, per tutto quello che aveva fatto in precedenza, perché aveva rinunciato per ben due volte a mettere al mondo una creatura.
È stata una lettura terribile, straziante ma nello stesso tempo straordinaria, perché con uno stile rapido e asciutto la scrittrice riesce a farci provare le stesse emozioni, a farci immedesimare in lei.