Recensione. Hotel Silence

Sinossi ufficiale

Jónas ha quarantanove anni e un talento speciale per riparare le cose. La sua vita, però, non è facile da sistemare: ha appena divorziato, la sua ex moglie gli ha rivelato che la loro amatissima figlia in realtà non è sua, e sua madre è smarrita nelle nebbie della demenza. Tutti i suoi punti di riferimento sono svaniti all’improvviso e Jónas non sa piú chi è. Nemmeno il ritrovamento dei suoi diari di gioventú, pieni di appunti su formazioni nuvolose, corpi celesti e corpi di ragazze, lo aiuta: quel giovane che era oggi gli appare come un estraneo, tutta la sua esistenza una menzogna. Comincia a pensare al suicidio, studiando attentamente tutti i possibili sistemi e tutte le variabili, da uomo pratico qual è. Non vuole però che sia sua figlia a trovare il suo corpo, e decide di andare a morire all’estero. La scelta ricade su un paese appena uscito da una terribile guerra civile e ancora disseminato di edifici distrutti e mine antiuomo. Jónas prende una stanza nel remoto Hotel Silence, dove sbarca con un solo cambio di vestiti e la sua irrinunciabile cassetta degli attrezzi. Ma l’incontro con le persone del posto e le loro ferite, in particolare con i due giovanissimi gestori dell’albergo, un fratello e una sorella sopravvissuti alla distruzione, e con il silenzioso bambino di lei, fa slittare il suo progetto giorno dopo giorno…Auður Ólafsdóttir ha scritto il suo romanzo piú bello, il piú essenziale, tenero e ironico. Un libro che è un segno di pace, una stretta di mano laica che ci riavvicina a quanto di umano dentro di noi resiste agli orrori del mondo.

Recensione

Questo libro mi ha messo addosso molta malinconia e tristezza perché parte dal presupposto che il protagonista si voglia suicidare, anche se già dalla quarta di copertina si capisce che cambia idea durante la narrazione che si apre ad una nuova possibilità.

Per quanto io mi sia spesso interrogata sulle motivazioni che possono portare una persona a mettere fine alla propria esistenza, non sono mai riuscita a trovare una spiegazione, una giustificazione plausibile. Per quanto si possa soffrire, per quanto si possa essere stati feriti, per quanto si possono aver perso tutte le speranze, credo che ci sia sempre un piccolo barlume, un piccolo spiraglio attraverso il quale far entrare la luce e andare avanti.

Ho letto che questo è il miglior romanzo che l’autore abbia scritto. Non posso dare un giudizio perché è il suo primo romanzo che leggo ma mi ha convinto fino ad un certo punto, perché non è riuscito a coinvolgermi emotivamente più di tanto, non sono riuscita ad empatizzare con il protagonista, ad immedesimarmi nelle sue reazioni, a soffrire con lui per la rivelazione avuta sulla sua mancata paternità e anche la situazione descritta in questo paese in cui si trasferisce, distrutto dalla guerra, mi ha coinvolto solo fino ad un certo punto.

L’unico personaggio che ha suscitato in me una certa reazione è il bambino che trova nell’albergo, un essere sicuramente traumatizzato dalle dolorose esperienze che ha vissuto, che non comunica più di tanto a parole ma soprattutto disegnando ed usando in particolare i colori rosso e nero

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