Recensione. Le ossa parlano

Sinossi ufficiale

Un medico in pensione scopre nel bosco delle ossa umane. È il cadavere di un bambino. Michela Gambino della scientifica di Aosta, nel privato tanto fantasiosamente paranoica da far sentire Rocco Schiavone spesso e volentieri in un reparto psichiatrico, ma straordinariamente competente, riesce a determinare i principali dettagli: circa dieci anni, morte per strangolamento, probabile violenza. L’esame dei reperti, un’indagine complessa e piena di ostacoli, permette infine di arrivare a un nome e a una data: Mirko, scomparso sei anni prima. La madre, una donna sola, non si era mai rassegnata. L’ultima volta era stato visto seduto su un muretto, vicino alla scuola dopo le lezioni, in attesa apparentemente di qualcuno. Un cold case per il vicequestore Schiavone, che lo prende non come la solita rottura di decimo livello, ma con dolente compassione, e con il disgusto di dover avere a che fare con i codici segreti di un mondo disumano. Un’indagine che lo costringe alla logica, a un procedere sistematico, a decifrare messaggi e indizi provenienti da ambienti sotterra-nei. E a collaborare strettamente con i colleghi e i sottoposti, dei quali conosce sempre più da vicino le vite private: gli amori spericolati di Antonio, il naufragio di Italo, le recenti sistemazioni senti-mentali di Casella e di Deruta, persino l’inattesa sensibilità di D’Intino, le fissazioni in fondo comiche dei due del laboratorio. Lo circondano gli echi del passato di cui il fantasma di Marina, la moglie uccisa, è il palpitante commento. Si accorge sempre più di essere inadeguato ad altri amori. È come se la solitudine stesse diventando l’esigente compagna di cui non si può fare a meno. Questa è l’indagine forse più crudele di Rocco Schiavone.

Recensione

Schiavone e la sua squadra indagano sull’omicidio di un bambino di 10 anni scomparso 6 anni prima e lo sconforto che ne deriva è inenarrabile.

Chalet dell’orrore, sepoltura nel bosco, messaggi nel deep web: non manca nulla a questa storia macabra che vede una piccola vittima dilaniata proprio dalla ferocia dei grandi che dovrebbero proteggerlo.

Il disincanto di Schiavone non riesce ad isolarlo dal dolore per l’indagine, dal rammarico di non aver avuto un figlio, dalla perdita della moglie, dal tradimento subito da uno dei suoi migliori amici, tutto questo riesce a scalfire la corazza che si è costruito addosso e che sta creando delle crepe sempre più grandi.

Ho letto che questo libro non è il migliore della serie dedicata a Rocco Schiavone ma io ne ho letto solo un altro quindi non ho grandi termini di paragone. Mi è piaciuta la trama e il personaggio del vicequestore, rude e dai modi spicci, un pesce fuor d’acqua in una città che non sente ancora come casa sua, ma ormai si è lasciato alle spalle Roma e non ci può più fare ritorno.

Mi riprometto di leggere altri libri della serie per non perdere di vista Schiavone e la sua squadra.

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