
Sinossi ufficiale
Deluso e amareggiato sotto il profilo professionale, un giovane medico statunitense lascia il suo paese e va in India, alla ricerca di qualcosa che gli restituisca il senso dell’esistenza, intraprendendo un lungo viaggio dalla ricca America alle bidonville di Calcutta. La realtà che lo aspetta è però sconvolgente, un vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale gli uomini cercano di sopravvivere tra topi e scarafaggi, nella più assoluta mancanza di mezzi. Ma proprio qui, nelle allucinanti colonie di lebbrosi della “Città della gioia”, in mezzo a inondazioni, fame e malattie, il protagonista riuscirà a ritrovare la forza di riscattarsi. Un romanzo sconvolgente, una straordinaria lezione di coraggio.
Recensione
“[…] i nostri gesti d’assistenza rendono gli uomini ancor più assistiti, a meno che non siano accompagnati da atti destinati a estirpare la radice della loro povertà.”
Il libro è stato scritto dopo un viaggio dell’autore a Calcutta, viaggio che gli ha fruttato interi quaderni di appunti, di impressioni, di riflessioni e la metà di tutti i diritti d’autore sono stati devoluti ai protagonisti del libro o a istituzioni umanitarie che a Calcutta e nelle zone circostanti lottano per migliorare le condizioni di vita dei più poveri fra i poveri.
Il titolo è il nome con cui viene chiamato uno dei più grandi slum di Calcutta, dove contrariamente a ciò che si pensa i poveri e derelitti della città trovavano collaborazione con gli altri, compassione, aiuto e tolleranza.
Il libro inizia con la storia di Hasari Pal e la sua numerosa famiglia di contadini bengalesi che da mezzadri sprofondano in una spirale di povertà e miseria senza fine . Alla sua storia di intreccia quella di Paul Lambert, un giovane prete cattolico francese arrivato nella Città della gioia per imitare la “volontà di Dio di condividere la condizione dei più umili” , quella di Max Loeb, medico americano che vuole prendersi un anno lontano da casa per “cambiare aria” e di tanti altri abitanti dello slum, come il biharese, responsabile di tutti i risciò di Calcutta, o Madre Teresa.
Il linguaggio è carezzevole, ricco, avvolgente, le descrizioni della rigogliosa natura del Bengala e i riferimenti ai numerosi dei indù scandisce il racconto, ammaliante è ipnotico e le pagine scorrono via veloci, portandoci in un mondo lontano, terribile ed affascinante allo stesso tempo.
Straordinaria la descrizione del caos, del frastuono, delle montagne di merci e della marea di persone che travolgono Hasari e la sua famiglia all’arrivo a Calcutta, o quella del Barra Bazar: sembra di essere immersi nel groviglio di uomini, profumi, colori e mezzi di trasporto che confondono e atterriscono i nuovi arrivati, la città è come un formicaio impazzito, un agglomerato disumano di corpi e oggetti che fagocitano i nuovi arrivati e allo stesso tempo li respingono, li tengono ai margini insieme ai tanti poveri e mendicanti scappati come loro dalle campagne.
Altra nota positiva sono le descrizioni delle numerose feste che si celebrano in India dove la religione è proprio uno degli aspetti più affascinanti del paese, in particolare la religiosità dei suoi abitanti per cui “Un evento felice, una disgrazia, il lavoro, la pioggia, la fame, una nascita, la morte, tutto è sempre in rapporto con gli dei e questa è la ragione per cui le più grandi feste del paese non commemorano mai un anniversario storico, neanche il giorno glorioso dell’Indipendenza, ma sempre un avvenimento religioso.
Nessuna popolazione onora i suoi dei e i suoi profeti con altrettanto fervore di quella di Calcutta, mentre il cielo sembra averla proprio abbandonata”
“La metropoli è infatti situata nel cuore di una delle regioni più fertili ma anche meno favorite del pianeta, una zona a volte senza monsoni, oppure di monsoni devastatori, con conseguente siccità o bibliche inondazioni, una zona di cicloni e di maremoti annientatori, di sismi apocalittici, di esodi politici e di guerre religiose come forse non hanno mai generato il clima e la storia di nessun altro paese.”
Una città sovraffollata, decrepita, sempre sul punto di crollare, di implodere, covo di terribili epidemie, con i suoi abitanti che non si fermavano mai, sempre in movimento di giorno e di notte, coinvolti in gorghi infiniti e numerosi incidenti, che potevano morire sul marciapiede davanti all’indifferenza di tutti od essere coinvolti in episodi di inaudita violenza.
Niente di tutto questo sembrava avere a che fare con il suo glorioso passato che pareva relegato ad un’altra dimensione temporale, in cui Calcutta veniva chiamata “la Parigi dell’oriente” e nonostante la folla di poveri e lebbrosi che la assediavano, restava il centro culturale e intellettuale dell’India.
Alla miseria e al degrado si contrappongono però l’umanità e la misericordia dei poveri abitanti della città della gioia, la dignità dei sofferenti che con rassegnazione e pazienza sopportano i loro dolori,la straordinaria solidarietà e aiuto reciproco che i vari abitanti dello slum si scambiano tra loro, anche tra appartenenti a religioni diverse.
Le descrizioni di fatto e avvenimenti sono vivide e coinvolgenti, come quella dei 9 giorni e 9 notti del monsone dell’uragano che si abbatte sulla costa, la contrattazione per il matrimonio della figlia di Hasari Pall o la celebrazione del Natale.
Questa lettura è stata caratterizzata da Un vero e proprio caleidoscopio di emozioni in cui prevale la consapevolezza che in occidente siamo molto fortunati ma nella maggior parte delle volte non ce ne accorgiamo.