
«All’improvviso comparve una nuvola insolita, che si proiettava in alto con una specie di larghissimo tronco: si allargava e si ramificava: andava sfilacciandosi, a tratti immacolata, a tratti torbida, secondo che sollevasse terra o cenere». È Plinio il Giovane a documentare nelle epistole l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., ma la voce narrante è qui, inconfondibilmente, quella di Citati. Nessuno come lui ha saputo riverberare e dilatare nella sua scrittura il fascino dei libri che leggeva e amava – e trasmetterci il desiderio irresistibile di leggerli e amarli a nostra volta. Né c’è da meravigliarsi: più che critica letteraria, la sua è interpretazione narrata, racconto che tramuta ogni libro e il suo autore in indimenticabili personaggi: «Dickens riempiva la realtà con un’allegria furiosa, eccitando ed esaltando il suo genio … Una misteriosa ilarità lo attraversava, lo colmava ed egli non riusciva ad interromperla, quasi fosse stato percorso da una zampillante fontana di fuoco». Letteratura sulla letteratura, in definitiva, o anche letteratura scaturita dall’arte, ma non alla maniera dell’amico Manganelli, attento come ogni buon rètore a frapporre tra sé e ciò che scriveva «uno spazio di indifferenza emotiva»; nelle pagine di Citati la letteratura circola libera e impetuosa, ci avvolge e ci contagia, lasciando intravedere dietro di essa la sua vera e più antica vocazione, leggere: «non ho mai smesso di leggere, leggere, leggere; ogni libro che leggevo era una forma dell’infinito, che inseguivo, e inseguivo, e fallivo continuamente nell’inseguire».

Il suo acronimo (lqg) suona come uno dei tanti, criptici e intimidatori, che gremiscono la fisica contemporanea. In realtà, la «gravità quantistica a loop» – oggetto del nuovo libro di Jim Baggott – è una delle declinazioni più promettenti nell’ambito della «teoria quantistica della gravità». La quale, a sua volta, è uno dei tentativi più accreditati di rispondere a una sfida senza precedenti nella storia della fisica: l’armonizzazione di due teorie di grande successo ma tra loro inconciliabili. La prima è la relatività generale di Einstein, che descrive il comportamento della materia su larga scala in uno spazio-tempo curvo: base del modello standard cosmologico del big bang, ha avuto una delle conferme più spettacolari nella recente scoperta delle onde gravitazionali. La seconda è la meccanica quantistica, che descrive invece le proprietà e il comportamento della materia alle scale più piccole: sotto forma di teoria dei campi, è alla base del modello standard della fisica delle particelle, e in questo ambito l’ultima convalida sperimentale è stata la scoperta del bosone di Higgs. Il punto è che il «doppio trionfo» delle due teorie – costruite su interpretazioni incompatibili dello spazio e del tempo – è servito solo a far apparire l’universo ancora più elusivo e misterioso, se non più bizzarro. Compito della lqg è dunque inventare un nuovo, comune tessuto teorico. Ricostruendo i termini della sfida, Baggott si sofferma a lungo sugli scienziati che più si sono adoperati (e continuano ad adoperarsi) per vincerla, come Lee Smolin e Carlo Rovelli; e, pur senza nascondere fino a che punto sia ardua, ne sottolinea l’importanza fondamentale grazie a un pensiero di Laozi: «Anche un viaggio di mille miglia comincia con un primo passo».

Invidiabile la sorte del lettore che affronta per la prima volta questo monolito letterario, unico per concezione e architettura. Castello-caverna che la natura ha divorato, o che ha divorato la natura, Gormenghast è in primo luogo un modo di vivere, di essere: è tutto. E dunque esclude per definizione il resto, tanto che chi lo abita non riesce neppure a immaginare una realtà esterna. A descriverlo non poteva essere che uno scrittore e illustratore di genio come Mervyn Peake, visionario estremo. L’avventura si snoda in tre atti. Nel primo assistiamo alla nascita di Tito, che minaccia mutamenti, quindi scandalo e rovina, in un reame che si nutre di una millenaria ragnatela di rituali. Peake imprime al racconto un moto magmatico che si riversa sui protagonisti e ne fa insetti mostruosi conservati nell’ambra, prima che ne affiorino turgidi rilievi. Dove trovare un cast di eccentrici più ricco, più dickensiano già dall’inventario dei nomi? Sepulcrio, Fucsia, Barbacane, Ferraguzzo, Floristrazio, Musotorto e molti altri. Il secondo atto introduce all’educazione di Tito, che ora ha sette anni: il che significa per lui affondare nelle pieghe di insidiose trame per il potere, in una battaglia epica senza esclusione di colpi. E il ritmo narrativo si adegua, con esiti sempre più cinematografici, per poi subire nel terzo scomparto un’ulteriore accelerazione: sfuggito a Gormenghast, il giovane muoverà i primi passi in un altrove che esiste davvero – ma non è in nulla migliore di quanto si è appena lasciato alle spalle.