
Sinossi ufficiale
Palermo, 1903. Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un bambino solitario e contemplativo, uno di quelli che preferiscono «la stranezza delle cose alle persone», avendo «per compagnia solo il silenzio». Figlio unico di una nobile famiglia siciliana, vive nello sfarzoso palazzo di via Lampedusa, circondato unicamente da adulti, dei cui discorsi, tuttavia, capisce ben poco. Un giorno, nella sua vita, arriva Antonno: nessuno si prende la briga di presentarli e i due bambini si ritrovano all’improvviso l’uno dinnanzi all’altro, Giuseppe con il completo all’inglese in gabardine blu, i pantaloni sotto il ginocchio e il gilet bordato di seta. Antonno con la camicia arrotolata, di due misure più grande, le scarpe estive, i calzettoni invernali e in testa una paglietta bucata sulla punta. È un misto di stagioni e taglie sbagliate, Antonno, un bambino «tutto al contrario»: se sfoglia un libro comincia dall’ultima pagina, se vuole andare avanti cammina all’indietro e non c’è verso di fargli iniziare la settimana di lunedì o di togliergli dalla testa che si nasce morendo. Giuseppe non sa nulla del passato di Antonno, né tantomeno i motivi per i quali gli sia stato messo accanto. Sa però che Antonno non è come gli altri bambini e che la fedeltà che dimostra nei suoi confronti è pari solo a quella dell’albatro: tenacissimo, l’albatro non abbandona il capitano nemmeno nella disgrazia, seguendolo nella buona e nella cattiva sorte. Da quel momento, non c’è avventura, per quanto discutibile, in cui Antonno non lo affianchi. E non c’è notte in cui non vegli su di lui, come un fedele custode. Fino al giorno in cui, all’improvviso, così come è arrivato, Antonno svanisce. Divenuto adulto, Giuseppe partecipa ai due conflitti mondiali; dopodiché si ritira a vita privata, viaggiando e dimorando per lunghi periodi all’estero, dove conosce Alexandra Wolff, detta Licy, che diverrà sua moglie, e dove inizia a confrontarsi con i grandi della letteratura europea. Saranno questi viaggi a portarlo a cimentarsi, quasi alla fine della sua vita, nella stesura di un romanzo ispirato alla figura del bisnonno paterno Giulio Fabrizio, l’astronomo, il sognatore. Un romanzo che avrà per protagonista un personaggio fugace, un nobiluomo colto e malinconico che perde il suo sguardo nel cielo per fuggire la terra: si intitolerà Il Gattopardo e, dopo lunghi anni, ricondurrà da lui Antonno e la ‘sua visione rovesciata del mondo. Facendo propria l’idea che il destino di ogni adulto vada cercato nei suoi sogni di bambino, Simona Lo Iacono tratteggia il ritratto di una delle più importanti figure della letteratura italiana, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scrittore dalla complessa personalità e autore del celeberrimo Il Gattopardo.
Recensione
Quest’estate ho voluto riprendere un libro che tanto mi arriva appassionato alcuni anni fa, Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e poi ho deciso di leggere anche l’albatro che ad esso è collegato, perché in questo testo lo scrittore in prima persona alterna pagine in cui ricorda la sua infanzia ad altre in cui narra gli ultimi giorni della sua vita.
È un racconto magico, in particolare i ricordi del passato che sembrano relegati in un’atmosfera surreale, in cui il protagonista osserva tutto con occhi ingenui e stupefatti e si fa accompagnare nelle sue giornate da un ragazzino molto particolare, Antonno che fa tutto il contrario, ad esempio leggi libri a partire dall’ultima pagina oppure dice no quando vorrebbe dire sì.
Le giornate dei due fanciulli trascorrono liete e felici, pervase anche da un alone di mistero che circonda una compagnia di attori che metteranno in scena due rappresentazioni teatrali presso la casa dove la famiglia dei Lampedusa trascorre le vacanze.
Più dolenti sono sicuramente le pagine in cui lo scrittore, sottoforma di diario, ricorda il passato più recente e annota le sensazioni tristi che lo pervadono e che riempiono i suoi ultimi giorni, turbato dalla malattia e lontano dalla sua terra natia.
Il titolo allude al fatto che il piccolo Atonno aveva dichiarato a Giuseppe di voler essere per lui il suo albatro: come l’uccello segue fedelmente una nave, così il bambino sarà sempre attaccato al principuzzu e non lo abbandonerà mai, accompagnandolo nelle sue scorribande e donandogli una prospettiva diversa ed estraniante sulle cose, cogliendo sempre il “rovescio” della realtà.
Lo stile prezioso dell’autrice rievoca immagini di un’epoca perduta, il cui lusso e sfarzo sono solo uno sbiadito ricordo, dando al libro un tono di soffusa malinconia per un’età perduta (la fanciullezza del protagonista) e per un mondo che non esiste più (rappresentato dal gigante, il palazzo dei Lampedusa distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale)
Una lettura da accompagnare al capolavoro di Tomasi di Lampedusa, per apprezzare ancora di più la figura dello scrittore.