Recensione. Ninfa plebea

Miluzza, poco più che bambina e cresciuta nella povertà di un misero basso, comincia a sbocciare e ad attirare gli sguardi voluttuosi di vicini di casa e signori. Siamo a Nofi, la cittadina campana d’invenzione sfondo di molte opere dell’autore, e sono gli anni prima della seconda guerra mondiale. Tutto intorno a lei è miseria, dissolutezza e meschinità, e la sua educazione sentimentale potrebbe diventare una discesa agli inferi. Eppure, come per miracolo, la sua purezza non è scalfita da quel mondo squallido di uomini alla ricerca del piacere. Miluzza è pura forza vitale, coraggio e voglia di non soccombere ai pericoli che le si parano davanti sul cammino. Domenico Rea narra con uno stile a tratti aspro e a tratti lirico la storia di una stella terrena, affrontando con coraggio un tema a lungo rimosso nella letteratura: quello delle infanzie rubate, dei corpi di giovani donne offesi e violati da uomini senza scrupoli. Da questo libro è stato tratto il film omonimo del 1996 diretto da Lina Wertmüller con Stefania Sandrelli e Raoul Bova.

Recensione

Tra mille disgrazie cresce Miluzza, figlia di una madre ingombrante le cui colpe ricadono su di lei. Con un uso della parola sapiente e affascinante, Rea ci porta in un mondo dato di miserie e redenzione, in cui il sesso è visto in modo morboso, in un approccio tra maschi e femmine selvaggio e violento, in cui Miluzza è vittima di uomini e anche donne spregiudicati che si approfittano della sua bellezza e della sua ingenuità.

L’epilogo finale mi è sembrato un po’ frettoloso e forse inverosimile, come se lo scrittore volesse tirar via velocemente la storia che si dipana con numerose enumerazioni che mi hanno ricordato lo stile di De Carlo. La sensualità di certe scene invece mi ha riportato alla memoria le pagine dell’ assaggiatrice di Giuseppina Torregrossa

Una lettura per certi versi affascinante e coinvolgente ma un po’ troppo veloce sul finale

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