Recensione. Lacci

⁃ Gli unici lacci che per i nostri genitori hanno contato sono quelli con cui si sono torturati reciprocamente per tutta la vita.

Sinossi ufficiale

“Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie”. Si apre cosi la lettera che Vanda scrive al marito che se n’è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all’inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent’anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l’estensione del silenzio e il crescere dell’estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell’abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.

Recensione

La prima parte del libro è formata da una serie di lettere scritte da Vanda, una moglie abbandonata al marito Aldo che l’ha tradita e che se ne è andato con una donna a Roma, lasciando lei e i figli a Napoli. Una donna però che non ci sta ad essere abbandonata e che recrimina con forza i discorsi banali che il marito le ha rifilato per spiegarle la sua decisione di andarsene con un’altra.

La protagonista del romanzo si interroga anche sulle proprie colpe, si chiede se con il tempo non sia riuscita a cambiare, ad essere come il marito la voleva.

“Ora mi è tutto chiaro. Hai deciso di tirarti fuori, di abbandonarci al nostro destino. Desideri una vita tua, per noi non c’è spazio. Desideri andare dove ti pare, vedere chi ti pare, realizzarti come ti pare. Vuoi lasciarti alle spalle il nostro mondo piccolo e entrare con la tua nuova donna in quello grande. Ai tuoi occhi siamo la prova di come hai buttato via la giovinezza. Ci consideri una malattia che ti ha impedito di crescere, e senza di noi speri di recuperare. […] “Ci vedi come un ostacolo alla tua felicità, ci senti come una trappola che soffoca la tua voglia di godimento, ci consideri come un residuo irrazionale e maligno. Tu ti sei detto fin dall’inizio: mi devo riprendere me stesso, anche se questo li ucciderà.”

“– Ho sbagliato in qualcosa? – mi chiese.

– Assolutamente no.

– Cosa c’è allora che non va?

– Niente, è solo un periodo complicato.

– Ti sembra complicato perché non riesci a vedermi.

– Ti vedo.

– No, tu vedi solo quella che sfacchina ai fornelli, che tiene la casa pulita, che bada ai bambini. Ma io sono altro, io sono una persona.”

Riconosce che forse si sono sposati troppo presto, che un tempo sono stati felici poi si sono adagiati su ritmi che li hanno soffocati.

Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che spesso la routine è la tomba dell’amore, che non bisogna mai darsi per scontati e che occorre fare di tutto per tenere vivi l’amore e la passione.

Il protagonista maschile della storia ne esce a brandelli: è un uomo che scappa per vigliaccheria, che abbandona moglie e figli per seguire i suoi desideri, è confuso e debole, insensibile e superficiale.

Nella seconda parte del romanzo la parola passa al marito. Sono passati molti anni da quell’episodio di separazione, i due sono tornati a vivere insieme

“Viviamo insieme da cinquantadue anni, un filo lungo di tempo raggomitolato. Vanda è una signora fintamente energica di settantasei anni, io un signore fintamente svagato di settantaquattro. Lei mi organizza la vita da sempre senza nasconderlo, io da sempre seguo le sue istruzioni senza protestare”

Un tentativo di furto durante l’assenza dei coniugi in vacanza mette a soqquadro l’appartamento di Vanda e Aldo e rimettendo a posto lui ha modo di riflettere sul suo passato, s fatto che forse non ha mai visto la luce che c’era gli occhi della moglie, la sua vitalità. Riordinando scopre anche lettere che la moglie gli ha scritto durante la loro separazione e risente tutto il peso del matrimonio che per lui era diventato una trappola, della famiglia e delle sue abitudini che non reggeva più, della sua voglia di evadere dalla prigione.

“Ho esaminato una foto a colori rossastri, dietro c’era scritto a matita: 1973. Mostrava Vanda con Sandro, che allora aveva otto anni, e Anna, che ne aveva quattro. I bambini sembravano felici, si stringevano alla mamma che pareva a sua volta contenta, e tutt’e tre mi guardavano divertiti mentre li fotografavo. Il loro sguardo allegro era la traccia della mia presenza, provava che in quel momento c’ero anch’io. Eppure solo adesso mi accorgevo che mia moglie sprizzava un piacere di vivere che la rendeva abbagliante. Ho chiuso in fretta le fotografie in un paio di scatole di metallo. Tutto perduto per sbadataggine. Non avevo mai fatto veramente attenzione a Vanda? E del resto che senso aveva quella domanda, ormai non potevo appurare alcunché. Nella stanza da letto, solo le iridi verdi sotto le palpebre grevi erano rimaste come cinque decenni prima.”

Aldo ricorda i giorni della separazione, il dolore di Vanda, le sue dolorose visite ai figli, le liti davanti a loro, il loro disagio, Il suo rimorso di dare ai figli un dolore grandissimo, il suo sentirli estranei. Aldo capisce di aver ferito irrimediabilmente la moglie e che l’urto della sua sofferenza ha dilaniato anche i figli. Dalla crisi del loto matrimonio hanno imparato entrambi che per vivere insieme devono dirsi molto meno di quanto tacciono.

Nella terza parte del libro a prendere la parola è Anna, la figlia di Aldo e Vanda, che ci narra l’incontro con il fratello Sandro dopo tanto tempo a casa dei suoi per dare da mangiare al gatto pentire i genitori sono in vacanza. La donna descrive il fratello, la sua incapacità di provare emozioni, il suo continuo recitare, rievoca il suo passato, i giorni della separazione, il dolore che questa esperienza ha lasciato in lei. Dal suo racconto emergono il suo carattere e quello del fratello e le conseguenze dell’essere vissuti in una famiglia distrutta per un po’ e poi malamente ricomposta.

Questo libro è la storia di un matrimonio e di una famiglia molto tormentati, segnato da una separazione durata quattro anni e che ha avuto ripercussioni anche nel periodo che hanno vissuto insieme successivamente, perché un tradimento e un abbandono non si perdonano mai e lasciano delle conseguenze sia su chi ha abbandonato sia su chi è stato abbandonato.

Un romanzo che ti entra dentro, ti fa riflettere e ti colpisce al cuore, ti porta nelle menti dei personaggi e ti stravolge.

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