Recensione. L’ultima partita a carte

Sinossi ufficiale

Con uno stile intenso e vivo, Mario Rigoni Stern narra la sua esperienza di ragazzo nella Seconda guerra mondiale, dall’arruolamento tra gli alpini, appena diciassettenne, alle campagne di Grecia, Albania e Russia. In ogni pagina la biografia si fonde con la storia collettiva, per poi disperdersi in rivoli di storie individuali, in episodi apparentemente marginali che custodiscono un altro senso della storia. Così per sussulti e frammenti, la storia di un uomo e di un’epoca ci viene incontro. Un libro “esile di pagine ma denso di vita”, un distillato prezioso in cui Rigoni Stern concentra in un modo del tutto nuovo mezzo secolo della sua scrittura.

Recensione

Arruolatosi volontario nel 1938 a 17 anni per frequentare un corso per alpini, Rigoni Stern all’inizio del libro ha un entusiasmo e una forza d’animo infiniti, tipici della gioventù.

La narrazione dei principali avvenimenti della seconda guerra mondiale si alterna ai fatti vissuti in prima persona dall’autore, spesso all’oscuro di quello che succedeva nel resto dell’Europa (ad esempio non sa che i tedeschi hanno invaso mezza Europa o che erano già entrati in funzione i Lager), poi pian piano si fa strada in lui la consapevolezza della gravità della situazione, la profondità del “crepaccio” nel quale è precipitato. Rigoni Stern comincia a capire i sacrifici a cui sono sottoposti i soldati mentre Generali e gerarchi pensavamo solo alle promozioni e i più alti vertici del governo si limitavano a consultare i bollettini giornalieri di guerra e a contare i morti.

L’autore racconta le sue esperienze di guerra in Grecia e in Russia e man mano che procede con la narrazione la sua disillusione è sempre più evidente, comincia a dubitare sempre di più della Vittoria, ma si vergogna di questo suo sentimento perché è come se venisse meno al suo dovere di italiano e di alpino.

È doloroso scoprire da queste pagine che nei giornali italiani dell’epoca si millantavano straordinarie vittorie sul fronte russo e che non si mostrava nessuna pietà per i tanti morti, che c’era chi rubava sulle razioni dei soldati.

Un libro da leggere assolutamente per non dimenticare.

Estratti

Non sapevo quello che si stava preparando nelle cancellerie e negli Stati maggiori di Germania e Italia. La morte ci porgeva i bicchieri con i quali brindavamo.

Ero un piccolo uomo che tra milioni di altri uomini stava combattendo lontanissimo da casa in una guerra così orribile che mai le stelle videro nel loro esistere. Sentivo solo una grande responsabilità verso i miei compagni che il fato mi aveva portato a guidare; sentivo che il mio corpo era forte, che in Italia era amato e aspettato. Dovevo tenerli uniti e fare il possibile per riportarli a casa.

Com’era triste il mio animo in quell’estate del 1943, che macigno pesava sul cuore. No, non avevo rimorsi per come mi ero comportato nelle battaglie; quando mi avevano ordinato di uccidere e non era necessario, avevo disubbidito. Ora, verso la fine della mia vita, posso dire che sono più quelli che ho salvato di quelli che ho ucciso.

Non sapevamo ancora delle camere a gas e di quello che succedeva nei campi di sterminio, né degli esperimenti che i medici tedeschi facevano su centinaia di ebrei e di prigionieri e donne russe. Non sapevamo. Ma avevamo visto le fosse comuni in Ucraina, le donne ebree costrette a pulire nella tormenta le stazioni ferroviarie polacche, i partigiani impiccati, i prigionieri russi che venivano mitragliati. I bambini affamati.

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