Recensione. L’appello

Sinossi ufficiale

E se l’appello non fosse un semplice elenco? Se pronunciare un nome significasse far esistere un po’ di più chi lo porta? Allora la risposta “presente!” conterrebbe il segreto per un’adesione coraggiosa alla vita. Questa è la scuola che Omero Romeo sogna. Quarantacinque anni, gli occhiali da sole sempre sul naso, Omero viene chiamato come supplente di Scienze in una classe che affronterà gli esami di maturità. Una classe-ghetto, in cui sono stati confinati i casi disperati della scuola. La sfida sembra impossibile per lui, che è diventato cieco e non sa se sarà mai più capace di insegnare, e forse persino di vivere. Non potendo vedere i volti degli alunni, inventa un nuovo modo di fare l’appello, convinto che per salvare il mondo occorra salvare ogni nome, anche se a portarlo sono una ragazza che nasconde una ferita inconfessabile, un rapper che vive in una casa famiglia, un nerd che entra in contatto con gli altri solo da dietro uno schermo, una figlia abbandonata, un aspirante pugile che sogna di diventare come Rocky… Nessuno li vedeva, eppure il professore che non ci vede ce la fa. A dieci anni da “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, Alessandro D’Avenia torna a raccontare la scuola come solo chi ci vive dentro può fare. E nella vicenda di Omero e dei suoi ragazzi distilla l’essenza del rapporto tra maestro e discepolo, una relazione dinamica in cui entrambi insegnano e imparano, disponibili a mettersi in gioco e a guardare il mondo con occhi nuovi. È l’inizio di una rivoluzione? “L’Appello” è un romanzo che, attingendo a forme letterarie e linguaggi diversi – dalla rappresentazione scenica alla meditazione filosofica, dal diario all’allegoria politico-sociale e alla storia di formazione –, racconta di una classe che da accozzaglia di strumenti isolati diventa un’orchestra diretta da un maestro cieco. Proprio lui, costretto ad accogliere le voci stonate del mondo, scoprirà che sono tutte legate da un unico respiro.

Recensione

Il professor Omero Romeo fa le sue lezioni attraverso i perché, la ricerca dell’ordine che c’è nella realtà, la possibilità di mettere un po’ di ordine nel caos e salvare il mondo.

Così le sue lezioni consistono nel partire da un problema e attraverso le risposte che i suoi alunni danno arrivare alla formulazione di una legge.è un modo molto originale di fare lezione perché si parte dalla visione della realtà, si passa attraverso se stessi e ci si apre al mondo. Ogni giorno i suoi alunni gli raccontano una parte della loro vita, delle loro paure, dei loro buchi neri, di ciò che li rende felici

ma anche vulnerabili, in questo modo lui li stimola a riflettere su se stessi e sul mondo che li circonda.

la classe affidata al professore, fatta di casi disperati, comincia a trovare un suo posto nel mondo, i ragazzi non si sentono più soli e incompresi ma percepiscono di essere qualcosa di raro e di unico.

Quando una sua alunna gli chiede perché esiste il dolore, Romeo risponde che “esso ha la capacità di spogliarci tutte le domande inutili e conduce l’essenziale, attira le componenti invisibili della vita come quello che in chimica si chiama catalizzatore. Dal dolore pretendiamo di ricavare sempre una formula, proprio come se fosse uno stato descrivibile. Ma il dolore è un processo e se ne può raccontare solo la storia, è una storia che si deve ancora fare. Non riguarda il passato, sono stato al punto che si può descrivere, ma il futuro. Per questo è fatto per essere raccontato, perché è una storia.[…] noi possiamo guarire solo stando nel dolore e scoprendo dove ci porta, proprio perché non abbiamo più il controllo delle cose.”

La vita è un messaggio in codice proprio come un nome proprio che è una sequenza unica di lettere scelto dallo sconfinato alfabeto della vita, per creare qualcosa che non c’è mai stato e mai ci sarà

Appello viene dal latino ad-pello che significa spingere verso, cioè l’azione di dare alla luce , rispondere all’appello significa venire alla luce, esserci, far sentire che si è nel mondo: questo è il senso dell’appello ideato dal professore cieco, che dimostra di vedere molto più in profondità di tanti che hanno ancora il senso della vista.

È stata una lettura molto emozionante e destabilizzante per me che sono un’insegnante perché mette in moto una riflessione profonda sulla scuola e sul proprio lavoro, che spesso si basa troppo sui contenuti e poco sulle persone, che guarda solo ai programmi e non al materiale umano con cui si ha a che fare.

Estratti

“Credo che esistano due categorie di persone: quelle che fuggono da qualcosa e quelle che cercano qualcosa. O forse è più preciso dire che ci sono persone che smettono di fuggire da qualcosa e cominciano a cercare, e persone che non iniziano mai a cercare perché sono troppo impegnate a fuggire. Diventare adulti è smettere di fuggire, cominciare a cercare e poi restare, essere presenti a se stessi senza scappare di fronte alla realtà. La vita è resistenza, e questa mi sembra la lezione migliore che potrete imparare…”

L’amore consiste nel mostrare la propria debolezza a qualcuno e scoprire che non se ne servirà per mostrare la propria forza, anzi, al contrario, per mostrarsi altrettanto debole. Unire due debolezze è il modo di diventare forti.

Solo le persone che hanno un “perché” possono affrontare tutti i “come” della vita: Solo che si interroga sulla vita e cerca di capire il mistero che essa racchiude, solo chi si fa delle domande e non trova pace fin quando non ha delle risposte, riuscirà a dare un senso alla propria esistenza.

Chi non si chiede il perché delle cose si accontenta di quello che sa e di quello che gli altri gli dicono.

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