Recensione. La vegetariana

Sinossi ufficiale

«È tutt’altro che un’opera ascetica: è un romanzo pieno di sesso ai limiti del consenziente, di atti di alimentazione forzata e purificazione ― in altri termini di violenza sessuale e disordini alimentari, mai chiamati per nome nell’universo di Han Kang … Il racconto di Han Kang non è un monito per l’onnivoro, e quello di Yeong-hye verso il vegetarianesimo non è un viaggio felice. Astenersi dal mangiare esseri viventi non conduce all’illuminazione. Via via che Yeong-hye si spegne, l’autrice, come una vera divinità, ci lascia a interrogarci su cosa sia meglio, che la protagonista viva o muoia. E da questa domanda ne nasce un’altra, la domanda ultima che non vogliamo davvero affrontare: “Perché, è così terribile morire?”». (The New York Times)

Recensione

Seul: sogni di orrore, di morte aprono il libro e portano la protagonista Yeong-hye a diventare vegetariana

Nel primo capitolo la narrazione in prima persona del marito si alterna al corsivo della donna, ai resoconti convulsi dei suoi sogni malati

“Non dormo mai per più di cinque minuti di fila. Scivolo fuori da una coscienza nebulosa, ed eccolo che ritorna: il sogno. Ormai non posso nemmeno più chiamarlo così. Gli occhi di un animale che brillano selvaggi, la presenza di sangue, un teschio dissotterrato, poi di nuovo quegli occhi. Vengono su dalla bocca del mio stomaco. Mi risveglio di soprassalto. Le mie mani, ho bisogno di vedere le mie mani. Respiro. Le unghie sono ancora morbide, i denti ancora teneri.

Posso fidarmi solo del mio seno, adesso. Mi piace il mio seno, non può uccidere niente. La mano, il piede, la lingua, lo sguardo: tutte armi da cui nulla è al sicuro. Ma non il mio seno. Con i miei seni rotondi, sono tranquilla. Ancora al sicuro. Allora perché continuano a rimpicciolirsi? Non sono nemmeno più rotondi. Perché? Perché sto cambiando così? Perché tutto in me diventa appuntito? Che cosa intendo trafiggere?”

“Il mio polso non ha niente, non mi dà nessun fastidio. Quello che mi fa male è il petto. Qualcosa si è bloccato all’altezza del plesso solare. Non so che cosa può essere. Adesso è perennemente conficcato lì. Lo sento sempre, anche se ho smesso di portare il reggiseno. E per quanto faccia respiri profondi, non vuole andarsene.

Un grumo formato da urla e gemiti aggrovigliati, intrecciati fra loro uno strato dopo l’altro. È per la carne. Ho mangiato troppa carne. Le vite degli animali che ho divorato si sono tutte piantate lì. Il sangue e la carne, tutti quei corpi macellati sono sparpagliati in ogni angolo del mio organismo, e anche se i resti fisici sono stati espulsi, quelle vite sono ancora cocciutamente abbarbicate alle mie viscere.”

Nel Secondo capitolo si narrano in terza persona i pensieri del cognato della protagonista

“Tutto in lei gli era piaciuto: gli occhi con la palpebra singola, il suo modo di parlare, che non aveva l’inflessione lievemente nasale della moglie ed era così

“schietto da risultare quasi rude, i suoi vestiti scialbi, gli zigomi sporgenti che le davano un aspetto androgino. A paragone di sua moglie la si sarebbe potuta definire brutta, ma per lui irradiava energia, come un albero cresciuto nel deserto, spoglio e solitario. Ciò nonostante, quell’incontro non modificò i suoi sentimenti per la moglie. «Certo, lei sarebbe proprio il mio tipo. Pur essendo sorelle e pur assomigliandosi abbastanza sotto molti punti di vista, tra loro c’è una sottile differenza». Quel pensiero balenò rapido nella sua mente e poi scomparve.”

Nel terzo capitolo la voce narrante ci mostra gli avvenimenti sempre in terza persona attraverso lo sguardo di In-hye, sorella della protagonista

Tre punti di vista diversi sullo stesso campo di indagine, il vegetarianesimo della protagonista che di per sé non ha una voce, non ha pensieri, quasi non ha parole. Il marito la considera una nullità, una presenza sgradevole e quanto mai inopportuna, il cognato è attratto da lei in modo inspiegabile, la sorella quasi la ammira per aver superato il limite ed essersi liberata dalle costrizioni sociali nelle quali lei è ancora invischiata.

“ «Sorella, tu lo sapevi?».

«Sapevo cosa?».

«Io non lo sapevo. Pensavo che gli alberi stessero a testa in su… L’ho scoperto solo adesso. In realtà stanno con entrambe le braccia nella terra, tutti quanti. Guarda, guarda là, non sei sorpresa?». Yeong-hye era balzata in piedi e aveva indicato la finestra. «Tutti quanti, stanno tutti a testa in giù». Era scoppiata in una risata incontenibile, e a In-hye erano tornati in mente alcuni momenti della loro infanzia in cui la faccia della sorella aveva esattamente la stessa espressione. Momenti in cui i suoi occhi dalla palpebra singola si restringevano e diventavano completamente neri, e dalla sua bocca prorompeva quella risata innocente. «Sai come l’ho scoperto? Be’, ho fatto un sogno, e stavo sulla testa… Sul mio corpo crescevano le foglie, e dalle mani mi spuntavano le radici… E così affondavo nella terra. Sempre di più… Volevo che tra le gambe mi sbocciassero dei fiori, così le allargavo; le divaricavo completamente…».”

“Sgomenta, In-hye aveva guardato gli occhi esaltati della sorella.

«Devo dare acqua al mio corpo. Non ho bisogno di questo genere di cibo, sorella. Ho bisogno di acqua».

“Yeong-hye, che era docile e ingenua, non aveva saputo evitare la collera del padre né opporvi alcuna resistenza. Aveva semplicemente assorbito tutta la sofferenza dentro di sé, fin nel midollo. Adesso, col senno di poi, In-hye capisce che il ruolo della figlia maggiore laboriosa e altruista che aveva adottato allora era stato un segno non di maturità, ma di vigliaccheria. Era stata una tattica di sopravvivenza.”

“È il tuo corpo, puoi trattarlo come ti pare. L’unico territorio in cui sei libera di fare come preferisci. Ma anche questo non va come volevi.”

Avere a che fare con la narrativa orientale è sempre un’incognita, si tratta di stile e di contenuti che spesso sono molto lontani dalla nostra visione occidentale della vita.Sono storie che lasciano una sorta di amaro in bocca, un effetto di straniamento che ci attira e nello stesso tempo ci respinge. Mi capita spesso con i libri di Murakami o di Mishima ed è capitato anche con questo testo, che mi ha colpito per la caparbietà della protagonista di autodistruggersi, per la sua intenzione di annullarsi completamente e inesorabilmente.

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