
Tra giochi di luce e ombra, le poesie di Rosalia Costa conducono il lettore in un contrasto vorticoso di emozioni intense. La passione è il carburante nobile cui attinge l’autrice per descrivere senza paura anche i sentimenti più furiosi; il paesaggio infuocato in cui si perde l’occhio è quello circostante, vivido, che finisce per legarsi indissolubilmente ai significati. Anche la morte, a metà tra fuoco e mare, non può essere scambiata per la condizione fisica del corpo; piuttosto è ciò che rischia di allontanarci dal centro scintillante della vita, dove nessuna azione è realmente imprudente.

Dopo aver organizzato con successo diversi laboratori artistici per bambini, l’autrice racconta com’è nata l’idea di “portare l’arte in scena”, creando una fusione tra laboratorio teatrale e artistico.
Le esperienze personali con il teatro e la recitazione, unite alle sue conoscenze di Pedagogia teatrale, scenografia e, ovviamente, storia dell’arte, sono state il punto di partenza di un percorso didattico impegnativo, che ha richiesto una buona dose di creatività e di passione.
Attraverso la drammatizzazione, i piccoli attori si impadroniscono delle storie degli artisti che hanno avuto modo di conoscere durante le attività del laboratorio, partecipano attivamente alla messa in scena dello spettacolo e scoprono nuovi aspetti delle loro personalità, acquisendo autostima e fiducia in loro stessi.

La raccolta è un vissuto, un condensato di emozioni che si snoda all’interno di un flusso di coscienza, di conoscenza.
Versi che racchiudono la delicatezza, ma al contempo la sofferenza e uno sguardo attento di chi il COVID-19, il poeta, l’ha vissuto sulla propria pelle, nel gennaio del 2019, un anno prima rispetto alla denunciata ufficialità dell’evento pandemico, uscendone provato da una violenza virale senza precedenti, disorientando già all’alba del 18 marzo 2019 l’intero personale medico della “Medicina Generale-2” della struttura ospedaliera “Luigi Sacco” di Milano che con amorevoli attenzioni e tentate cure lo ha preso in carico, impotente, tuttavia, nel somministrare una terapia efficace di fronte all’inspiegabile quadro clinico.
Una silloge che il poeta compone quasi con le lenti di un osservatore terzo, di chi presagisce, osservando il mondo, quanto interiorizzato nella psiche e nel fisico, dettata nel suo cammino compositivo da una leggerezza, da un’apparente semplicità, velando a tratti una sottile ironia socratica, gelante, a cui il poeta, per proprio carattere, si allinea nell’affrontare le diverse tematiche della vita, contro la “pesantezza” dell’umano, del vivere quotidiano, così come in tempo di COVID-19.