Recensione. Il gatto di Depero

Qualcuno ha scritto che l’essenza dell’arte non è l’imitazione, ma l’espressione. Fortunato stesso nella persona era la perfetta espressione dell’arte che creava. Aveva zigomi alti, occhi profondi e luminosi che chiamava “le mie virgole”, perché sembravano parlare d’Oriente. Rivedo la sua figura. Era magro per la fame, eppure scattante di gioventù e di desiderio. Sembrava sempre essere in procinto di arrampicarsi sul tronco di un albero e sfidarti – “Prova a prendermi se ci riesci” –, ma nel volto aveva un’ombra di riguardo che lo rendeva empatico e per certi aspetti innocente.

Sinossi ufficiale

“La forma di quel suo gatto evocava qualcosa di umano. Il soggetto non aveva una posa docile, al contrario. Non so se si può dire di un gatto… all’epoca sarebbe parso di certo inappropriato, ma ora oserei dire che aveva personalità.” All’alba del Novecento, il piccolo Mario Nicoluzzi impara l’arte della tornitura del legno di ulivo nella bottega del padre. Sarà quell’arte a salvarlo dalla guerra e dall’esilio. Sarà il tornio ad avvicinarlo, da adulto, al grande pittore e designer Fortunato Depero verso il quale proverà sempre grande stima e affetto. Il loro legame, però, è destinato a subire una brusca rottura dovuta alla comparsa di un gatto fra gli averi della famiglia dell’artigiano. Mario condurrà il lettore indietro nel tempo per ricostruire nei dettagli le vicissitudini che hanno portato al grande equivoco che li ha allontanati. Perché quel bozzetto di Depero è finito nelle sue mani? È giunto il momento di scoprirlo. Attraverso un intreccio di storie sorprendenti, il protagonista ci restituisce uno spaccato vibrante e senza filtri della vita e del vivere di quegli anni nella città di Rovereto.Un romanzo brillante e commovente, che celebra il riscatto di un genio ingiustamente censurato.

Recensione

Questo libro mi hai dato la possibilità di approfondire la mia preparazione su un artista dei primi del 900 che conoscevo in modo molto superficiale: Fortunato Depero, Un artista te 360°, estremamente moderno, pieno di inventiva, che ci ha lasciato delle opere d’arte magiche e suggestivi, forse un po’ in anticipo sui tempi, cercando di entrare nella vita quotidiana della gente, e lo fece grazie alla pubblicità, all’arredamento, agli allestimenti teatrali, alla moda, all’architettura, all’arte postale, e via dicendo.

Nel romanzo Depero che fu un un pittore, scultore, designer, illustratore, scenografo e costumista, viene descritto attraverso gli occhi del protagonista del libro, il falegname Mario Nicolezzò che entrerà in contatto con il maestro attraverso alcuni lavori che quest’ultimo gli affida. Depero è un uomo molto generoso, attento alle proprie creazioni, sempre in viaggio da una città all’altra per promuovere la sua arte e sempre perseguitato dai debiti, innamoratissimo della moglie con la quale crea un connubio di vita e di arte straordinario. Il narratore ce lo descrive in modo molto dolce e affettuoso, con una grandissima nota di profondo rispetto per la sua umanità, per la sua forza e per il fatto che non si è mai perso d’animo per cercare di creare un museo in cui raccogliere le sue opere.

Fortunato intuiva la bellezza laddove la massa si fermava all’apparenza, ma questo probabilmente è il congegno principe di ogni mente geniale.

Fortunato era un pittore che si rifiutava di isolare la sua arte dentro il perimetro di una tela. La proiettava ovunque, anche sulla bottiglia di un aperitivo. Chi direbbe oggi che il flacone a forma di calice rovesciato del Campari è stato inventato cent’anni fa?

“Basta con l’arte per l’arte, l’arte deve servire alla nostra esistenza e deve essere una fonte di allegria” mi diceva Fortunato strizzando scherzosamente quelle sue virgole scure.

Il gatto che dà il titolo al romanzo è il motivo che scatenerà una reazione molto forte nel maestro e che rischia di incrinare i rapporti tra questo e il protagonista. Un ritratto profondo e suggestivo di un artista italiano poco conosciuto, facente parte del cosiddetto secondo futurismo, che ha cercato di avvicinare l’arte alla vita di tutti giorni attraverso soprattutto le realizzazioni di alcune famose campagne pubblicitarie, un uomo che è voluto tornare nella sua città di origine, nel suo Trentino dove secondo la biografia ufficiale molti artisti andavano in pellegrinaggio per visitarlo. Nel romanzo però tutto questo non c’è, perché gli ultimi anni di vita dell’artista sono condotti quasi in solitudine e non vi leggiamo il successo o la fama ma solo la fatica di far arrivare a tutti le proprie opere.

Mi è piaciuta molto la scelta di far raccontare la storia al protagonista quando ormai è morto, quando riesce a guardare i fatti da una prospettiva diversa, non rassegnata ma semplicemente più consapevole dei meccanismi della vita, delle priorità da dare alle cose e alle persone. Mario Nicoluzzi è un uomo integerrimo, un grande lavoratore, un ammiratore entusiasta dell’arte di Depero, che si strugge per il dispiacere di aver suscitato nel maestro un grande dolore con la realizzazione del gatto che ha messo in vetrina nella sua falegnameria. Un uomo che ha vissuto gli orrori della prima e della seconda guerra mondiale, che ha un fortissimo senso della famiglia e dell’onore. Ha trascorso gran parte della sua vita al tornio, per fare questo lavoro ci ha messo passione e amore e il tornio, che serve a smussare e arrotondare gli spigoli, gli ha insegnato a vivere.

Passo la mia morte proprio come ho passato la vita: ragionando e ripercorrendo con criterio i fatti e i risultati delle mie azioni e di quelle degli altri, perché ho sempre creduto che un certo ordine nell’esposizione di un avvenimento porti a una sua completa, migliore comprensione, e spesso anche a qualche sorpresa inaspettata.

Suppongo vogliate saperlo. Cosa si prova quando si muo re? Ebbene, visto che sono morto posso rispondere con cognizione di causa. Parlerò con grande franchezza. Si prova quello che si è già vissuto al momento della nascita. Esattamente la stessa terribile sensazione: molto dolorosa, traumatica e talmente insopportabile che… la si dimentica. Perché, se se ne conservasse il ricordo, non si ripeterebbe l’esperienza e il ciclo si interromperebbe. Neanch’io la ricordo, ma so come funziona, e sto imparando qualche cosa su quanto succede dopo. Credo sia per questo che sono qui senza vedere nessuno. Il viaggio è diverso per ognuno. Infatti è vero che tutti moriamo, ma non è vero che davanti alla morte siamo tutti uguali. Siamo uguali per ciò che accade al nostro corpo, non cambia se sei ricco oppure miserabile. “Polvere sei, e polvere diventerai.” E io confermo. Ma per il resto? Io sto gironzolando da un po’, ma non vedo nessuno all’orizzonte. Dove sono gli altri? Gli altri morti come me? A volte immagino che il mio viaggio consista nel raccontare questa storia e, quando avrò finito, me ne andrò da un’altra parte dove forse incontrerò qualcuno.

Adesso sono molto curiosa di recuperare i libri precedenti dell’autrice

L’autrice

Dice di se’:

Scrivo da sempre e da sempre mi piace raccontare storie. Per tanti anni l’ho fatto da reporter – sono giornalista professionista – ho lavorato nei quotidiani occupandomi di inchieste, di cronaca, di cultura. Ho viaggiato in tutti i continenti con una bicicletta per cercare di capire meglio un luogo e la sua gente per poi riportare i fatti con la certezza di averli davvero vissuti. Ho scritto racconti e reportage di viaggio dall’Africa e dall’Asia.
La passione per la letteratura mi ha portato ad approfondire l’ambito narrativo attraverso lo studio e a laurearmi in Lingue e Letterature moderne, quindi a specializzarmi in Filologia e Letterature comparate. 

Il mio primo romanzo “Le radici del muschio” (2016) è una saga delicata e nello stesso tempo cruda, una storia che spinge a riflettere sull’essenza dell’uomo e sui capricci del destino. Narra la vicenda di un modesto giardiniere, Hector, e di una fotografa di fama, Daniela. Hector e Daniela sono due eroi moderni diversi per carattere e per cultura, sono un uomo e una donna che lottano e che trovano il loro punto di incontro nella battaglia per salvare un giardino che rischia di morire. “Le radici del muschio” è metafora della difesa della natura contro l’avidità di potere e di denaro, ma è anche lo sfondo di un grande amore e di un’amicizia profonda.  

Nel secondo romanzo “MeL” (2019) mi sono divertita a mescolare i generi thriller, noir e fantascienza, ma in realtà si tratta soprattutto di un romanzo di formazione. La protagonista Vero Coretti è un’anziana signora in coma nel 2049 ed è una ragazza che sa il fatto suo nel 2001. MeL è un romanzo divertente, coinvolgente per come la protagonista, una giovane donna, si racconta senza pudore e senza peli sulla lingua, ma è anche un intreccio con suspense, passione e sentimento. 

Ho pubblicato la raccolta “Racconti di viaggio Racconti di vita” (2020) in cui tra storia e reportage, autobiografia e cronaca di costume, racconto di un percorso epico dal deserto della Namibia alle metropoli di Tokio e di Seul, dalla Bolivia alla Cambogia, dalla dittatura birmana alle crociate contro i catari, dalla terra delle badanti alla tecnologia di Taiwan, dal Golfo del Tonchino a Parigi. 

E poi c’è l’ultimo nato, il romanzo “Il gatto di Depero” (2020) ispirato alla storia vera di un grande artista e del suo falegname tornitore. Un intreccio di storie nella Rovereto del Novecento, che restituisce al lettore uno spaccato vibrante e senza filtri della vita e del vivere di quegli anni.

Naturalmente sto scrivendo ancora…
Intanto se volete conoscermi meglio potete visitare la mia pagina autore
su Facebook a questo indirizzo ” http://www.facebook.com/MilkaGozzerAutrice
e su Instagram: http://www.instagram.com/milkagozzer”

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