
Da qualche anno Tullio Pericoli conduce su se stesso, nel suo studio, una serie di curiosi esperimenti, di cui poi racconta i risultati in forma di libro. L’ultimo – questo – è per certi versi il più audace. Si trattava infatti di mettere alla prova gli occhi della fronte (come li chiama Pericoli) e gli occhi della mente, chiedendo ai primi di controllare tutto quello che la mano al lavoro faceva, e intanto ai secondi di addentrarsi nei «corridoi bui del cervello», riportando tutto quello che di inusuale gli accadesse di notare. I risultati della ricerca sono tanti quante sono le pagine di questo libro. In alcuni i lettori riconosceranno l’autore, ma altri hanno sorpreso lui per primo, spingendolo ad esempio a modi nuovi di vedere la pittura. Modi che Pericoli tenta di mettere definitivamente a fuoco anche per la via che gli è più naturale – ridisegnando cioè a matita le opere di alcuni suoi spiriti guida, da Morandi a Saenredam, alla ricerca dei loro segreti.

«Dovrei mettere un titolo a questo mio resoconto. Il fratello. Il fratello di XX. Un essere che non ama le montagne. È stato messo in una scuola in cima a una montagna. La scuola dava su una quantità di massi. Non c’erano più alberi. Si arrivava in cima alla montagna per una stradina tutta curve. Ed era divertente accelerare in curva. Sotto, gli abissi. Non guidavo, allora, ero un fratello bambino. Sono rimasto in quella scuola non a lungo, ma per almeno un lunghissimo anno. Guardavo dalla finestra. I massi. E quei piccoli abissi con la punta in giù, triangoli capovolti. Tutto quello che vedevo era capovolto. Tutto aveva la testa all’ingiù. Così i miei pensieri».

«Non dimenticherai questo viaggio con tuo padre. Così diceva a Delfi, davanti al tempio, l’amico di mio padre. La figlia di Johannes non doveva dimenticare quel viaggio con suo padre. Mentre guardo le rovine, la sua voce mi esorta a non dimenticare questo viaggio. Appena scendiamo a terra, la voce mi perseguita. Voce suadente. A ogni tappa del viaggio, davanti a ogni pietra, l’amico di Johannes mi ricorda che devo ricordare».

Intinta nell’inchiostro blu dell’adolescenza, la penna di Fleur Jaeggy è il bulino di un incisore che disegna le radici, i ramoscelli e i rami dell’albero della follia che cresce nello splendido isolamento del piccolo giardino svizzero della conoscenza fino a oscurare col suo fogliame ogni prospettiva. Una prosa straordinaria. Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l’autrice: il resto della vita».