
Il romanzo è ambientato in una retrovia fatta di giardini pubblici, vagoni morti, e un solo andito borghese (mica poi tanto), ovvero la casa della creaturina e del professore. Ovviamente, riferisco di una sottoumanità, per me fulgida, un universo accecante di un recondito misticismo. Eppure apparentemente il paesaggio è squallido, laconico, una pozzanghera che riflette volti grevi e stralunati. Sembrano ratti di un tombino.
Come può non inerpicarsi il paesaggio e i suoi dimoranti nell’identico piano sequenza? I luoghi sono i suoi dimoranti.
Il mondo perbene e giusto ignora il gretto avamposto, è sotterraneo, invisibile. Restituisce piuttosto l’ottusità borghese, la consuetudine ottusa degli altri.
Gli altri: il personaggio narrante ha in odio quel che vi compete.