Recensione. Eccomi

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Abramo non chiede: «Che cosa vuoi?» Dice: «Eccomi». Quando Dio chiama Abramo, Abramo è completamente presente per Dio. Quando Isacco chiama Abramo, Abramo è completamente presente per suo figlio. Ma com’è possibile? Dio chiede ad Abramo di uccidere Isacco e Isacco chiede a suo padre di proteggerlo. Come può Abramo essere due cose opposte contemporaneamente?

Sinossi ufficiale

«Eccomi.» Così risponde Abramo quando Dio lo chiama per ordinargli di sacrificare Isacco. Ma com’è possibile per Abramo proteggere suo figlio e al tempo stesso adempiere alla richiesta di Dio? Come possiamo, nel mondo attuale, assolvere ai nostri doveri a volte contrastanti di padri, di mariti, di figli, di mogli, di madri, e restare anche fedeli a noi stessi? Ambientato a Washington nel corso di quattro, convulse settimane, Eccomi è la storia di una famiglia sull’orlo della crisi. Mentre Jacob, Julia e i loro tre figli devono fare i conti con la distanza tra la vita che desiderano e quella che si trovano a vivere, arrivano da Israele i cugini in visita, in teoria per partecipare al Bar Mitzvah del tredicenne Sam. I tradimenti coniugali veri o presunti, le frustrazioni professionali, le ribellioni e le domande esistenziali dei figli, i pensieri suicidi del nonno, la malattia del cane, anche i previsti festeggiamenti: tutto rimane in sospeso quando un forte terremoto colpisce il Medio Oriente, innescando una serie di reazioni a catena che mettono a repentaglio l’esistenza stessa dello stato di Israele. Di fronte a questo scenario imprevisto, ognuno sarà costretto a confrontarsi con scelte a cui non era preparato, e a interrogarsi sul significato della parola casa.
L’attesissimo ritorno di Jonathan Safran Foer alla narrativa dopo oltre dieci anni travolge con l’energia e l’impatto emotivo del suo libro d’esordio, confermando il talento di uno scrittore unico. Ironico e irriverente, commovente e profondo: un romanzo-mondo che affronta in una prospettiva universale i temi cari all’autore – i legami famigliari, le tragedie della Storia, l’identità ebraica – e insieme apre squarci di grande intimità.

Recensione

Jacob e Julia, due genitori imperfetti di tre ragazzini, Sam, Max e Benji, che si allontanano sempre più a causa del tempo e delle loro energie che diminuiscono con la crescita della famiglia. Il loro matrimonio è basato su una cecità deliberata, su una capacità di ignorare volutamente ciò che sta capitando la coppia, unita ad un’abilità straordinaria nel dimenticare ciò che è stato. La comunicazione tra loro si interrompe, il condotto è ostruito da parole non dette, silenzi, parole pronunciate al momento sbagliato, delusioni, fraintendimenti. Amano ancora stare insieme, ma più godono della compagnia reciproca e più si allontanano dalle loro vite interiori, più accumulano ore, giorni, settimane, mesi, anni passati insieme e meno fanno attenzione ai loro veri desideri e loro reali bisogni.

Il maggiore dei figli, Sam, con una bravata fatta a scuola sembra innescare la crisi della famiglia, ma in realtà lui l’aveva prevista, sapeva benissimo che tutto sarebbe andato in rovina, ma ignorava semplicemente come questo sarebbe successo e quando si sarebbe verificato. Aveva già previsto che si sarebbero lasciati, che avrebbero divorziato e che magari si sarebbero odiati a vicenda. Aveva colto quella i segni premonitori di questa disgrazia, vedendo quello che i suoi genitori non sapevano o non potevano permettersi di vedere e questo lo infastidiva molto, perché si aspettava che loro, da adulti, sapessero cogliere certi segnali e fossero capaci di correre ai ripari per evitare la fine.Il suo personaggio è quello che mi ha affascinato di più, è un adolescente in crisi, che si rifugia in una vita parallela, in un gioco che non è un gioco ma è appunto un’altra vita, other life. Ogni tentativo di dialogo con lui da parte del padre si rivela infruttuoso, diventa una sorta di scontro all’ultimo sangue, con una serie di attacchi e difese che non lasciano scampo.

Il personaggio che più mi ha infastidito è Jacob, il classico uomo che vorrebbe tanto essere diverso da come è, che soffre di una specie di complesso di inferiorità nei confronti della moglie, che si sente inadeguato con il passare del tempo sia come padre sia come marito, che cerca di entrare nel mondo parallelo in cui si è rifugiato Sam per avere un canale di comunicazione privilegiato con lui, che si è visto sfuggire tra le dita in modo irrimediabile la sua vita e non riesce a trovare un modo per risolvere il pasticcio in cui si è cacciato.

Julia è una donna molto complessa, che sogna di costruire abitazioni straordinarie, una madre tuttofare molto presente e attenta ai bisogni dei figli e anche a quelli del marito, che si è sempre sobbarcata la maggior parte delle incombenze genitoriali e che ha sofferto per il fatto che i compiti erano stati divisi tra lei e Jacob in modo sproporzionato: il marito rappresentava il divertimento mentre lei agli occhi dei figli costituiva la profondità e la pesantezza, lei li aveva allattati mentre lui li aveva fatti ridere, lei li guardava dormire mentre lui si svegliava se c’era una straordinaria partita in corso, lei insegnava loro parole ricercate mentre il marito sosteneva che non c’erano brutte parole, ma solo un cattivo uso del linguaggio per giustificare le parolacce che lei non sopportava invece i bambini amavano. Dopo una vita intera trascorsa in compagnia di un uomo che alla fine non la più capita, Julia si sente in trappola e trova il modo più indolore per tutti per uscirne.

Sullo sfondo di questa famiglia in crisi si stagliano la figura del nonno paterno Isaac, il Bar Mitzvah di Sam in pericolo e il terribile terremoto che sconvolge Israele e che ne mette in pericolo la stessa esistenza.

I dialoghi sono assolutamente straordinari come anche le parti riflessive, in cui Jacob e Julia ma anche Sam mettono a nudo se stessi, si interrogano, si aprono al mondo, si scoprono e scoprono quello che sentono. L’ebraismo, l’esistenza di Israele, la necessità di lottare per trovare un proprio posto nei mondo, il disfacimento di una famiglia sono le tematiche trattate nel libro, uno dei più bei testi letti ultimamente.

Estratti

Mentre li viveva, tutti quegli anni erano sembrati degni di essere vissuti, ma erano bastati pochi mesi dall’altro lato perché sembrassero una gigantesca perdita di tempo. Di una vita. Il suo cervello aveva un impulso quasi insopprimibile a vedere il peggio in ciò che era fallito. Di vederlo come qualcosa che era fallito, anziché come qualcosa che era riuscito fino a quando non era finito.

E l’enorme distanza tra dove sei e quello che ti eri sempre immaginata non deve per forza indicare un fallimento. La delusione non dev’essere necessariamente deludente. Il desiderio, il bisogno, la distanza, la delusione: crescere, conoscere, impegnarsi, invecchiare accanto a un altro. Da soli si può vivere perfettamente. Ma non una vita.

Perché si è giovani una volta sola in una vita che si vive una volta sola. Perché l’incoscienza è l’unico pugno che possiamo sferrare contro il nulla. Fino a che punto possiamo sopportare di sentirci vivi?

“Israele, la patria ebraica storica, significa letteralmente “lotta con Dio”. Non “loda Dio” o “adora Dio” o “ama Dio” e neppure “obbedisci a Dio”. Anzi, in effetti è il contrario di “obbedisce a Dio”. Lottare non è solo la nostra condizione, è la nostra identità, il nostro nome.

ma cos’è lottare?

c’è la lotta greco-romana, il wrestling, il braccio di ferro, il sumo, la lotta libera, la lotta delle idee, la lotta con la fede…Hanno tutte una cosa in comune : la vicinanza.

Riesci a tenerti solo quello che ti rifiuti di lasciare andare.

Quello con cui non lottiamo lo lasciamo andare. L’amore non è assenza di sforzo. L’amore è sforzo”

Tutte le mattine felici si assomigliano, esattamente come tutte le mattine infelici, ed è questo, in fondo, a renderle così profondamente infelici: la sensazione che quest’infelicità sia già accaduta prima, che gli sforzi per evitarla al massimo la rafforzino e probabilmente non facciano che esacerbarla,

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