
«Se Chincholle non fosse stato girato di spalle, intento ad armeggiare con la serratura di ferro battuto di un vecchio cassettone, avrebbero visto che piangeva. E forse per un istante gli balenò l’idea di gettarsi in ginocchio e confessare:
«“La verità è che c’è un cadavere nella dispensa. Non so chi sia. Però mi pare di aver riconosciuto la barba del precedente inquilino… Non era olandese, lui, era ungherese… Aveva una bella moglie… Ha affittato la villa per tre mesi, ma sei settimane dopo ho ricevuto una lettera di disdetta da Roma”.
«E ora che sarebbe successo? La polizia! E articoli di cronaca sulla storia del cadavere nella dispensa! Nessuno avrebbe più voluto affittare la villa del delitto!».

«Vediamo con gli occhi, ma vediamo anche con il cervello. E vedere con il cervello è ciò che spesso chiamiamo immaginazione. Abbiamo familiarità con i paesaggi della nostra immaginazione, i nostri “paesaggi interiori”. Ci abbiamo convissuto per tutta la vita. Ma esistono anche le allucinazioni, e le allucinazioni sono un’altra cosa. Non sembrano essere una nostra creazione, né sottostare al nostro controllo. Sembrano arrivare dall’esterno e imitare la percezione … Quello che vedi e che senti è lì fuori, fa paura, ti guardi intorno e non sai da dove viene».

Nulla infastidiva Mordecai Richler quanto le ortodossie vecchie e nuove e i vari tipi di intolleranza da esse generate. E furono proprio gli anni trasgressivi della Swinging London a ispirargli, durante il suo lungo soggiorno in Inghilterra, questo romanzo, uno sberleffo così audace e irriverente da essere subito messo all’indice in numerosi paesi di lingua inglese. A doversi districare fra i meandri della ‘controcultura’ è Mortimer Griffin, che lavora in una sofisticata casa editrice, ha una vita familiare convenzionale e l’imperdonabile colpa di essere bello e WASP. Dopo l’acquisizione della Oriole Press da parte di un potentissimo e stravagante produttore hollywoodiano chiamato da tutti il Creatore di Stelle, il quale ha un solo vero scopo nella vita, la propria immortalità, Mortimer finisce in un labirinto dove fatichiamo a distinguere la farsa dalla satira e dall’horror. Tormentato dallo sguaiato tradimento della moglie con il laido amico Ziggy, perseguitato da un pestifero giornalista che lo accusa di essere un ipocrita ebreo rinnegato, scandalizzato dalla scuola all’avanguardia dove il figlio di otto anni recita Sade per poter liberare la sua sessualità, concupito da due seducenti colleghe più simili ad androidi che a donne vere, accusato via via di perbenismo, moralismo, razzismo, antisemitismo, mollezza e meschinità e sempre più insicuro delle sue prestazioni virili, Mortimer si ritrova suo malgrado protagonista di una tragicommedia dell’assurdo dall’esito di paradossale crudeltà.

«Il pomeriggio del 24 ottobre 1917, quattro giorni dopo che mi ero sposato, rimasi stupito nel vedere mia moglie che tentava la scrittura automatica. Ciò che veniva fuori in frasi staccate, in una grafia quasi illeggibile, era così esaltante, a volte così profondo, che la convinsi a dedicare tutti i giorni una o due ore all’ignoto scrittore, e dopo una mezza dozzina di queste ore mi offersi di passare il resto della mia vita a spiegare e a mettere insieme quelle frasi sparse. “No,” fu la risposta “noi siamo venuti a darti metafore per la poesia”». È questo l’inizio della ‘esperienza incredibile’ del grande poeta irlandese W.B. Yeats, che culminò anni dopo nella stesura di Una visione. Al periodo della scrittura automatica seguì, a distanza di qualche mese, la comunicazione orale dei misteriosi ‘istruttori’, che parlavano ora attraverso la voce della donna addormentata. Yeats trascriveva ciò che udiva e interrogava incessantemente. Col tempo venne a delinearsi un sistema complesso e minuzioso, una rivelazione ermetizzante, che illuminava la cosmologia e la storia mediante diagrammi simbolici e uno schema di ’incarnazioni’ corrispondenti alle ventotto fasi della luna, ruota dove si iscrive ogni esperienza umana, dall’infima alla suprema: per ognuna di esse Yeats ci offre dei personaggi esemplari, scelti nell’immensa riserva della storia – fra gli altri, Whitman, Spinoza, Keats, Flaubert, la regina Vittoria –, ai quali dedica ogni volta un ritratto di preziosa acutezza.
Ma la sorprendente genesi di questo libro non si differenzierebbe di molto dalle tante vicende spiritiche e occulte che invasero il mondo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, se non fosse che qui è coinvolto W.B. Yeats, non solo grande poeta e uno tra i fondatori della poesia moderna, ma teorico dei sovrani poteri formali dell’arte. Di fatto, a lui, i misteriosi ‘istruttori’ non offrono le usuali banalità che fanno saltare i tavolini, ma ‘metafore’ per un maestro della metafora, una macchina mitica di cui egli, giunto sulla soglia della fase ultima e più ricca della sua opera di poeta, sente fortemente l’esigenza. Una visione ci mostra appunto come l’intervento degli ignoti Altri provochi un processo di potente condensazione delle idee e della sensibilità di Yeats, che qui sembrano fissarsi in una forma imprevedibile, eppure del tutto coerente con la sua persona. D’altra parte, fra l’occulto e la letteratura esistette per Yeats, fin dall’inizio, un vivacissimo scambio, che fu in ogni momento ambiguo, e Una visione non vale certo a risolvere questa ambiguità: anzi, infiltrando nel grandioso insieme un elemento grottesco e di patafisica comicità, bilanciando a ogni passo riverenze e insolenze, Yeats ci fa intendere che certamente sbagliate sono proprio le due prime soluzioni a cui il lettore può pensare, e cioè che l’elemento occulto sia riconducibile immediatamente all’artificio letterario oppure che qui la letteratura si pieghi a diventare veicolo dell’occulto. Ben più inquietante è il fondo di quest’opera, in cui si ritrova uno dei paradossi dell’arte moderna, per cui molto del più rigoroso formalismo si è sviluppato dal più contaminato occultismo (basti pensare ai casi di Kandinsky e di Schönberg). Yeats aveva di ciò chiara coscienza e, nell’introdurre questa sua opera eccentrica, dove però aveva descritto il meccanismo che è al centro della sua poesia, accennò al segreto che vi si cela: «Le Muse sono simili a donne che di notte escono di nascosto e si concedono a marinai sconosciuti e poi tornano a parlare di porcellane cinesi».