Marina Baldoni
Postfazione di Umberto Piersanti
Arcipelago itaca Edizioni
Collana diretta da Danilo Mandolini
Prezzo 13,00 €

Dalla Postfazione
La narrazione è una vicenda strettamente e tenacemente esistenziale: ci si può rivolgere alla cronaca solo per un paragone, magari il più indiretto. La tragedia che ci coglie è sempre quella della nostra esistenza: “hai avuto il tuo undici settembre”. E come avviene nel grande, tragico teatro del mondo, anche in quello della nostra esistenza possiamo fissare la data più drammatica: “è stato il giorno tredici del mese / ore sedici e un pugno di minuti /di venerdì, duemila e diciannove/ forse anche prima a pensarci bene”.
C’è sempre un’aria inquieta, un colore nero, un senso di dolore che accompagna il cammino di Marina, ma tenace è sempre anche una qualche speranza che si affaccia: “tracciando mappe per la /forse/ mia salvezza”.
Il tono non è mai enfatico, il dolore resta dentro una misura della lingua rastremata fino all’essenziale, ma lucida e chiara, senza ellissi o strappi. Il verso, che certo non si distende nella misura del canto, non è, però, mai prosastico: anzi c’è un tono alto che, talora, sfiora il sapienziale: un sapienziale, certo, immerso dentro una vicenda strettamente personale che, proprio per questo, possiamo avvertire come fraterna alle nostre singole vicende.
[…]
la curva dei fianchi differente
e un passo cauto che smorzava i picchi di un diagramma folle incongruente giocavi a non essere mai tu
tra le canne diritte e ancora secche
un’immagine del tutto disonesta luce attinica e alogenuri d’argento
ma quando sarà tutto quel che resta qui, guarderanno e non vedrà nessuno realmente quanto gioco e quanto vero in quelle linee sparse c’è di te
per prima, lì, in tutta quella vita
a chiederti in che cosa sconfinavi
ancora notte
è tenebra e ferocia, questa pioggia, ha zittito confusi il cuore e il fiato allontanato le promesse e il sonno come una raffica
lunga di vagoni
inizi ad aspettare un altro aprile, tu, distante e disumano come l’orlo sbavato di baci fuori corso lo sguardo dei figli ormai cresciuti i giorni in cocci
scompagnati altrove
nel carosello dei ritorni incerti
confusi dalla pioggia il cuore e il fiato, arresa, aspetti ancora un altro aprile /fantasmi e resti
e smisurate assenze/
coincidenze
stanotte erano tanti i binari e tanti i treni
fitti
come in un nido di serpenti leggeri
tutti egualmente in salita
ero quella che arriva, io, e quella partita quella, pure, che attende alla fermata
la storia ritrovata o la interrotta
che l’addio dà, appena sgualcito, con la mano o con un fazzoletto
timido
in tasca una foto sola
ritratto di compagni antichi
di un antico, forse, viaggio
di racconti a venire, quasi contorni
addio
credo di averti perso
in mezzo a tutto questo silenzio o forse prima, nell’accapo
tra “dovute”
e “conseguenze”
traccio da sola le linee di
questo addio, mesto ed impreciso punto di fuga da un
vecchio plurimo tormento
il futuro ormai una parola
piana
indolore
passeggiarti a filo di labbra vorrei
scantonare appena dalla via conosciuta
lasciando minuscole orme ubriache
voci lontane svecchiare
non si scioglie il dolore col pianto
si sposta più in là
si rimanda
si accontenta
di uscire un momento
di esistere in uno sguardo affogato in una smorfia, un grido muto una danza
che piano rientra
e si richiude
e torna
grumo di cuore
L’autrice
Marina Baldoni è nata nel 1962 a Loreto, dove vive.
Ha pubblicato due raccolte di poesie: In un angolo del Mare (2010) e Fili di sale (2011), entrambi per Controvento Editrice.
Da alcuni anni frequenta la Scuola di cultura e scrittura poetica “Sibilla Aleramo” di Civitanova Marche, fondata e diretta da Umberto Piersanti.
Nel 2018 ha vinto la prima edizione del concorso “Poesia Immaginata”, spin-off del premio letterario nazionale Paolo Volponi.
Le sue passioni sono la lettura, la scrittura, l’arte e il disegno, la fotografia e la musica. Nella sua borsa non mancano mai un buon libro, il suo Moleskine e una fotocamera.
