#gruppoletturaclassici. Recensione. I tre moschettieri.

Alexandre Dumas

Mondadori editore

Pagine 864

Prezzo 13,00 €

Buongiorno amanti della lettura. Oggi vi propongo con grande ritardo la recensione riguardante il libro letto a giugno e luglio con il gdl Gruppo lettura classici.

Trama

Il giovane D’Artagnan, ardito, coraggioso e pieno di belle speranze, parte dalla Guascogna per Parigi per diventare moschettiere, ma la lettera di presentazione a monsieur De Tréville gli viene sottratta da un uomo misterioso, “l’uomo di Meung”. Il giovane viene comunque ricevuto da Treville e fa la conoscenza di Athos, Porthos e Aramis in circostanze alquanto particolari : tutti e tre i moschettieri lo sfidano a duello e d’Artagnan rischia la vita ma riesce a salvarsi, anzi ha la possibilità di mostrare il suo valore e il suo coraggio. In seguito conosciamo gli intrighi di palazzo, la rivalità tra il re Luigi XIII e il cardinale Richelieu, l’odio di quest’ultimo per la regina Anna e l’amore di questa per il duca di Buckingham. Intanto D’Artagnan si innamora ricambiato della signora Bonacieux, guardarobiera della regina, per la quale svolge una delicatissima missione in Inghilterra. In seguito il cuore del guascone si accende anche per la bellissima e astutissima Milady, uno dei personaggi più ambigui di tutto il romanzo.

Recensione

Questo classico della letteratura mondiale mi ha davvero appassionato.

I quattro moschettieri sono semplicemente straordinari e hanno preso vita sulle pagine di Dumas con una straordinaria vitalità, grazie anche al fatto che le loro figure sono ben delineate nell’immaginario di tutti noi attraverso i vari film di cui sono stati protagonisti nel corso degli anni.

Quello che mi ha attirato più di tutti è D’Artagnan che Dumas paragona a don Chisciotte.

Don Chisciotte pigliava i mulini a vento per giganti e i montoni per eserciti, d’Artagnan prese ogni sorriso per un insulto e ogni sguardo per una provocazione.

È una testa calda, un passionale, coraggioso e impulsivo, avventato e impavido, dal cuore grande che si scioglie prima per una donna sposata e poi per una perfida arrampicatrice sociale, astutissima e crudele.

Athos è il più riservato e il più taciturno.

Quel degno signore, parliamo naturalmente di Athos, era molto taciturno. Nei cinque o sei anni dacché viveva nella più grande intimità con Porthos e Aramis, essi, che pur l’avevano visto sorridere qualche volta, non l’avevano mai udito ridere. Le sue parole erano brevi ed espressive, dicevano ciò che dovevano dire e niente di più, niente abbellimenti, niente ricami, niente arabeschi;

Porthos è l’opposto di Athos, un gran chiacchierone elegante e raffinato.

Porthos, come abbiamo visto, aveva un carattere perfettamente opposto a quello di Athos. Non solo parlava molto, ma parlava a alta voce; del resto, bisogna rendergli questa giustizia, poco gli importava se lo stessero o no ad ascoltare. Egli parlava per il piacere di parlare e per il piacere di ascoltarsi; parlava di tutto eccetto che di scienza, risentendo ancora dell’odio profondo che fin da ragazzo, a sentirlo, aveva provato per gli scienziati. Non aveva l’aria di gran signore di Athos, e il sentimento della sua inferiorità in questo campo l’aveva, sul principio della loro amicizia, reso spesso ingiusto per quel gentiluomo, che allora si era sforzato di offuscare con la ricchezza delle sue vesti.

Infine Aramis

era un giovanotto di ventidue o ventitré anni appena, ingenuo e semplice, dall’occhio nero e dolce, dalle guance rosee e vellutate come una pesca d’autunno; i suoi baffi fini disegnavano sul suo labbro superiore una linea perfettamente diritta; le sue mani sembravano temere di abbassarsi, per paura che le vene si gonfiassero; di tanto in tanto egli si pizzicava i lobi degli orecchi per mantenerli di un incarnato tenero e trasparente. Abitualmente parlava poco e lentamente, salutava molto e rideva senza rumore mostrando i denti, che aveva bellissimi e dei quali egli sembrava avere gran cura, come di tutta la sua persona.

L’altro grande protagonista del romanzo è il cardinale Richelieu, l’uomo che per 25 anni è stato il vero padrone della Francia, avendo ottenuto la piena fiducia di Luigi XIII che gli lasciò il governo del paese.

[…] un uomo di media statura, dall’espressione altera, dagli occhi penetranti, dalla fronte larga, dal viso magro che un pizzo sormontato da due baffi ben arricciati rendeva più lungo. Sebbene quest’uomo non avesse che trentasei o trentasette anni appena, capelli, pizzo e baffi stavano diventando grigi. Quest’uomo, sebbene non avesse spada, aveva l’aspetto di un militare, e i suoi stivali di bufalo ancora coperti di polvere indicavano che era stato a cavallo nel corso della giornata. Quest’uomo era Armando Giovanni du Plessis, cardinale di Richelieu, non quale ci viene presentato abitualmente, curvo come un vecchio, sofferente come un martire, col corpo spezzato, la voce spenta, sepolto in una enorme poltrona, come in una tomba anticipata, vivo solo per la forza del suo genio e capace di sostenere la lotta contro tutta l’Europa in virtù unicamente di una costante applicazione del suo pensiero; ma qual era realmente a quell’epoca, vale a dire un abile e galante cavaliere, già debole di corpo, ma sostenuto da quella potenza morale che ha fatto di lui uno degli uomini più straordinari che siano esistiti, pronto, infine, dopo aver aiutato il duca di Nevers nel suo ducato di Mantova, dopo aver prese Nimes, Castres e Uzes, a cacciare gli Inglesi dall’isola Re e a mettere l’assedio a La Rochelle.

Tutti intorno ci sono guerre grandi e piccole.

C’erano i signori che guerreggiavano; fra loro; c’era il Re che faceva guerra al Cardinale; c’era lo Spagnuolo che faceva guerra al Re. Poi, oltre queste guerre celate o pubbliche, segrete o palesi, c’erano i ladri, i mendicanti, gli Ugonotti, i lupi e i servi che facevano guerra a tutti. I cittadini s’armavano sempre per difendersi dai ladri, dai lupi, dai servi; spesso dai signori e dagli Ugonotti, qualche volta dal Re; mai però dal Cardinale o dagli Spagnuoli.

Il libro è assolutamente straordinario, non si sente minimamente il peso di leggere tutte queste pagine che scorrono benissimo grazie ai dialoghi magistralmente orchestrati e messi al punto giusto per alleggerire la narrazione e dare al lettore una visione diretta dei rapporti fra i personaggi.

Una storia che appassiona e avvince, che ci porta con la fantasia in un mondo di intrighi e congiure, assedi e scontri all’ultimo sangue, amori contrastati e vendette crudeli. Un libro a cui non si può rinunciare.

L’autore

Dal sito mondi.it

Con personaggi senza tempo come D’Artagnan ed Edmond Dantès ha lasciato un’impronta marcata nella letteratura mondiale, da cui viene celebrato come “maestro del romanzo storico”.

Nato a Villers-Cotterêts, piccolo comune a 70 km da Parigi, e morto a Dieppe nel dicembre del 1870, il destino prima gli voltò le spalle, lasciandolo orfano del padre a tre anni, ma poi sembrò ripagarlo quando ottenne il lavoro di copista alla corte del Duca di Orleans, futuro re di Francia col nome di Luigi Filippo I.

Quegli anni vissuti a contatto con l’alta aristocrazia francese si rivelarono un prezioso patrimonio, cui attingere per i suoi romanzi più celebri: da I tre Moschettieri (primo capitolo di una trilogia) a Il conte di Montecristo, passando per La regina Margot.

Tra i massimi autori della tradizione francese, è in assoluto lo scrittore che ha ispirato il maggior numero di trasposizioni cinematografiche e televisive. Il figlio, suo omonimo, seguì le orme paterne e firmò opere di altrettanto valore, in primis La signora delle camelie, che ispirò Giuseppe Verdi nella Traviata.

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